Cosa C'È All'Ordine Del Giorno? - HoyHistoriaGT Hoy en la Historia de Guatemala

Cosa C’È All’Ordine Del Giorno?

Cosa C

Che cosa c’è all’ordine del giorno?

Ordine del giorno Questa voce o sezione sull’argomento diritto è priva o carente di e, Sebbene vi siano una e/o dei, manca la contestualizzazione delle fonti con o altri riferimenti precisi che indichino puntualmente la provenienza delle informazioni.

Come si scrive abbreviato ordine del giorno?

O.d.g. (Ordine del giorno) – È l’elenco degli argomenti che si discuteranno durante una riunione (per esempio, l’ordine del giorno dell’assemblea condominiale o del Consiglio Comunale). Il termine indica anche una proposta sulla quale il Consiglio Comunale deve prendere una posizione politica in merito ad un problema o argomento specifico. : Comune di Teramo | Sito istituzionale

Quando si riunisce la Camera dei deputati?

La Camera, secondo l’art.62 della Costituzione, si riunisce di diritto due volte l’anno, il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre.

Chi decide l’ordine del giorno?

Inserire un argomento all’ordine del giorno – La collaborazione tra condomini e amministratore è sempre auspicabile per la corretta gestione del condominio. Non vi è dubbio che condomini o i consiglieri (quando nominati) dovrebbero, attraverso una partecipazione attiva, suggerire all’amministratore gli argomenti da discutere in assemblea.

  1. Questi riflettono le esigenze e/o le problematiche emerse nella vita del condominio.
  2. E chi più di ogni altro se non i condomini, ne sono a conoscenza? Una improvvisa infiltrazione dal lastrico solare, la realizzazione di un manufatto non autorizzato.
  3. Sono tutti motivi che potrebbero far nascere l’esigenza di richiederne l’inserimento nell’ordine del giorno dell’assemblea in convocazione.

Ma chi decide l’ordine del giorno? Può il condomino fare richiesta all’amministratore di includere uno o più punti all’ordine del giorno senza tener conto dei propri millesimi di proprietà? Ovviamente si. Tuttavia è l’amministratore a decidere l’ o.d.g.

Chi redige l’ordine del giorno?

Ordine del giorno obbligatorio – La legge impone all’amministratore di indicare, nell’avviso di convocazione, anche l’ordine del giorno dell’assemblea condominiale, cioè l’elenco degli argomenti su cui discutere ed eventualmente deliberare. Questo obbligo deriva dalla disciplina codicistica della comunione (art.1105 c.c.) e, più nello specifico, dall’art.66, terzo comma, disp.

Quando si usa d’ordine?

– nel caso di personale autorizzato (per delega di firma) a trasmettere ordini, disposizioni, notizie e, più in generale, comunicazioni attinenti questioni di servizio, l’indicazione della carica deve essere preceduta dalla dizione ‘d’ordine’ : D’ordine Il Vice Direttore ()

Come si abbrevia punti all’ordine del giorno?

O.d.G. : Definizione e significato del termine O.d.G.

Che sigla e Po?

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Località Sigla
Località Pistoia Sigla PT
Località Pordenone Sigla PN
Località Potenza Sigla PZ
Località Prato Sigla PO

Qual è lo stipendio di un parlamentare?

Camera dei deputati Indennità parlamentare L’indennità parlamentare è prevista dall’ articolo 69 della Costituzione, a garanzia del libero svolgimento del mandato elettivo. L’articolo 1 della legge n.1261 del 1965 attribuisce agli Uffici di Presidenza delle Camere il compito di determinare l’ammontare della indennità mensile in misura tale che non superi “il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate”.

Peraltro, in considerazione dell’esigenza di contenimento delle spese, l’Ufficio di Presidenza della Camera è intervenuto in più occasioni con misure volte a ridurre il trattamento economico dei deputati, che risulta oggi notevolmente inferiore rispetto al limite previsto dalla legge (), A decorrere dal 1° gennaio 2012, l’importo netto dell’indennità parlamentare, corrisposto per 12 mensilità, è pari a 5.246,54 euro, a cui devono poi essere sottratte le addizionali regionali e comunali, la cui misura varia in relazione al domicilio fiscale del deputato.

Tenuto conto del valore medio di tali imposte addizionali, l’importo netto mensile dell’indennità parlamentare risulta pari a circa 5.000 euro, Tale misura netta è determinata sulla base dell’importo lordo di 10.435,00 euro, sul quale sono effettuate le dovute ritenute previdenziali (pensione e assegno di fine mandato), assistenziali (assistenza sanitaria integrativa) e fiscali (IRPEF e addizionali regionali e comunali).

Per i deputati che svolgono un’altra attività lavorativa, l’importo netto dell’indennità ammonta a circa 4.750 euro, corrispondenti a 9.975,00 euro lordi. (*) In particolare, nel 2006, l’importo dell’indennità parlamentare è stato ridotto del 10%. Dal 2007 è stata disposta, per 5 anni, la sospensione degli adeguamenti retributivi.

Tale misura è stata successivamente prorogata fino a tutto il 2013. Per il triennio 2011-2013, l’indennità è stata di nuovo e ulteriormente ridotta nella misura del 10% per la parte eccedente i 90.000 euro, e del 20% per la parte eccedente i 150.000 euro lordi annui.

  • Tale riduzione è raddoppiata per i parlamentari che svolgono un’attività lavorativa per la quale percepiscono un reddito uguale o superiore al 15% dell’indennità parlamentare.
  • Una ulteriore riduzione dell’indennità è stata deliberata dall’Ufficio di Presidenza in data 30 gennaio 2012.
  • Da ultimo, con successive deliberazioni, l’Ufficio di Presidenza ha disposto la proroga, fino a tutto il 2020, delle misure di riduzione dell’indennità parlamentare e di sospensione del suo adeguamento.

Diaria Viene riconosciuta, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma, sulla base della stessa legge n.1261 del 1965. L’attuale misura mensile della diaria, a seguito della riduzione disposta dall’Ufficio di Presidenza nella riunione del 27 luglio 2010, è pari a 3.503,11 euro.

L’Ufficio di Presidenza, nelle riunioni del 25 ottobre 2011 e del 30 gennaio 2012, ha inoltre deliberato l’applicazione di una ulteriore decurtazione fino a 500 euro mensili in relazione alla percentuale di assenze dalle sedute delle Giunte, delle Commissioni permanenti e speciali, del Comitato per la legislazione, delle Commissioni bicamerali e d’inchiesta, nonché delle delegazioni parlamentari presso le Assemblee internazionali. Rimborso delle spese per l’esercizio del mandato Nella riunione del 30 gennaio 2012, l’Ufficio di Presidenza ha istituito un “rimborso delle spese per l’esercizio del mandato” che sostituisce il contributo per le spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori. Tale rimborso, di importo complessivo invariato rispetto al precedente contributo, è pari a 3.690 euro (dopo la riduzione di 500 euro del luglio 2010) ed è corrisposto direttamente a ciascun deputato con le seguenti modalità:

– per un importo fino a un massimo del 50% a titolo di rimborso per specifiche categorie di spese che devono essere attestate : collaboratori ( sulla base di una dichiarazione di assolvimento degli obblighi previsti dalla legge, corredata da copia del contratto, con attestazione di conformità sottoscritta da un professionista ); consulenze, ricerche; gestione dell’ufficio; utilizzo di reti pubbliche di consultazione di dati; convegni e sostegno delle attività politiche,

  • Per un importo pari al 50% forfetariamente.
  • Spese di trasporto e spese di viaggio I deputati usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale.
  • Per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso spese trimestrale pari a 3.323,70 euro, per il deputato che deve percorrere fino a 100 km per raggiungere l’aeroporto più vicino al luogo di residenza, e a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore a 100 km.

Spese telefoniche L’Ufficio di Presidenza ha ridotto a decorrere dal 1° aprile 2014, il rimborso forfetario delle spese telefoniche da 3.098,74 a 1.200 euro annui. Assistenza sanitaria Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria indennità lorda, pari a 526,66 euro, destinata al sistema di assistenza sanitaria integrativa che eroga rimborsi secondo quanto previsto da un tariffario.

Assegno di fine mandato Il deputato versa mensilmente, in un apposito fondo, una quota della propria indennità lorda, pari a 784,14 euro. Al termine del mandato parlamentare, il deputato riceve l’assegno di fine mandato, che è pari all’80 per cento dell’importo mensile lordo dell’indennità, per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore ai sei mesi).

Pensione Con deliberazioni del 14 dicembre 2011 e 30 gennaio 2012 l’Ufficio di Presidenza della Camera ha operato una profonda trasformazione del regime previdenziale dei deputati con il superamento dell’istituto dell’assegno vitalizio – vigente fin dalla prima legislatura del Parlamento repubblicano – e l’introduzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2012, di un trattamento pensionistico basato sul sistema di calcolo contributivo, sostanzialmente analogo a quello vigente per i pubblici dipendenti.

Il nuovo sistema di calcolo contributivo si applica integralmente ai deputati eletti dopo il 1° gennaio 2012, mentre per i deputati in carica, nonché per i parlamentari già cessati dal mandato e successivamente rieletti, si applica un sistema pro rata, determinato dalla somma della quota di assegno vitalizio definitivamente maturato alla data del 31 dicembre 2011, e di una quota corrispondente all’incremento contributivo riferito agli ulteriori anni di mandato parlamentare esercitato.

I deputati cessati dal mandato, indipendentemente dall’inizio del mandato medesimo, conseguono il diritto alla pensione al compimento dei 65 anni di età e a seguito dell’esercizio del mandato parlamentare per almeno 5 anni effettivi. Per ogni anno di mandato ulteriore, l’età richiesta per il conseguimento del diritto è diminuita di un anno, con il limite all’età di 60 anni.

  • A tal fine, i deputati sono assoggettati d’ufficio al versamento di un contributo pari all’8,80 per cento dell’indennità parlamentare lorda.
  • Lo stesso Regolamento prevede infine la sospensione del pagamento della pensione qualora il deputato sia rieletto al Parlamento nazionale, sia eletto al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale, ovvero sia nominato componente del Governo nazionale, assessore regionale o titolare di incarico istituzionale per il quale la Costituzione o altra legge costituzionale prevede l’incompatibilità con il mandato parlamentare.

La sospensione è inoltre prevista in caso di nomina ad incarico per il quale la legge ordinaria prevede l’incompatibilità con il mandato parlamentare, ove l’importo della relativa indennità sia superiore al 50 per cento dell’indennità parlamentare. Tale regime di sospensioni costituisce una deroga rispetto alla normativa generale, nell’ambito della quale le ipotesi di divieto di cumulo della pensione con altri redditi sono state ormai abolite.

Quanti sono gli onorevoli in Italia?

La legge costituzionale 19 ottobre 2020, n.1 ” Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.261 del 21 ottobre 2020, La legge costituzionale prevede la riduzione del numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi.

  • In sintesi La proposta di legge costituzionale A.C.1585-B è stata approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati, nella seduta dell’8 ottobre 2019, in seconda deliberazione.
  • Votazione : presenti 569, votanti 567, favorevoli 553, contrari 14, astenuti 2.
  • La proposta di legge costituzionale prevede una drastica riduzione del numero dei parlamentari modificando gli articoli 56 e 57 della Costituzione passando dagli attuali 630 a 400 deputati e dagli attuali 315 a 200 senatori,

L’obiettivo è duplice : da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e dall’altro ridurre il costo della politica (con un risparmio stimato di circa 500 milioni di euro in una Legislatura).

Iter parlamentare A.C.1585-B – vai alla pagina dedicata

Il referendum popolare Il testo della legge costituzionale è stato pubblicato nella G.U.n.240 del 12 ottobre 2019, Come previsto dall’art.138 della Costituzione, la legge può essere sottoposta a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

  1. Un quinto dei senatori, come previsto dal dettato costituzionale, ha richiesto di sottoporre la riforma al vaglio popolare.
  2. La richiesta firmata da 71 senatori, depositata il 10 gennaio 2020, è stata ritenuta conforme all’ articolo 138 della Costituzione dall’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione,

Il 16 marzo 2020 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto#CuraItalia in conseguenza dell’ emergenza Coronavirus-Covid-19 che introduce, tra le altre misure, all’ articolo 81, la posticipazione di sei mesi del termine per l’indizione del referendum confermativo, ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione, della legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari.

La posticipazione all’autunno del referendum costituzionale è stata considerata opportuna: a fronte di una breve posticipazione sarà infatti meglio garantito il diritto dei cittadini ad una piena informazione ed alle forze politiche e sociali di organizzare più propriamente la campagna elettorale. Decreto legge 17 marzo 2020, n.18 ” Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 ” ( G.U.n.70 del 17/03/2020 ).

In particolare, nel Decreto legge il termine per l’indizione del referendum confermativo è fissato in duecentoquaranta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo ha ammesso (23 gennaio 2020), in deroga alla legislazione vigente che prevede sessanta giorni (articolo 15, comma 1, della legge 25 maggio 1970, n.352).

Pertanto, il referendum dovrà essere indetto entro il 19 settembre 2020. L’indizione dovrà avvenire per una domenica compresa tra il 50° ed il 70° giorno successivo a quello dell’indizione, così come già oggi previsto. L’ultima data utile per la celebrazione del referendum cade, pertanto, il 22 novembre 2020.

La data del referendum, precedentemente fissata al 29 marzo 2020 ( DPR 28 gennaio 2020 ), era stata già revocata con DPR 5 marzo 2020, La legge del 19 giugno 2020, n.59 di conversione del D.L.20/04/2020, n.26 recante: ” Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020 ” – G.U.n.154 del 19 giugno 2020 – ha disposto l’applicazione del principio di concentrazione delle scadenze elettorali, ossia il cosiddetto election-day (DL n.98/2011), oltre che alle elezioni suppletive, amministrative e regionali anche al referendum confermativo del testo di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari.

  1. Le elezioni avranno luogo di domenica e lunedì e si terranno tra il 15 settembre e il 15 dicembre 2020.
  2. Il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020 Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 14 luglio 2020, su proposta del Presidente Giuseppe Conte ha convenuto sulle date del 20 e 21 settembre 2020 per l’ indizione del referendum popolare confermativo relativo all’approvazione del testo della legge costituzionale recante ” Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari ” nonché, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro dell’interno Luciana Lamorgese, per lo svolgimento delle elezioni suppletive nei collegi uninominali 03 della Regione Sardegna e 09 della Regione Veneto del Senato della Repubblica.

Sulla G.U.n.180 del 18 luglio 2020 è stato pubblicato il DPR del 17 luglio 2020 di indizione del referendum popolare confermativo. Il referendum costituzionale: i risultati del voto

SI 69,96 % NO 30,04 %

Dati complessivi – vai alla pagina del Ministero dell’Interno I Dossier a cura del Dipartimento

La Scheda di approfondimento ” La riforma costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari ” – 26 agosto 2020 Il Dossier sulla proposta di legge costituzionale ” Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari “- 29 luglio 2019 La Scheda di analisi comparata ” Il Confronto internazionale ” sul numero dei parlamentari

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La Newsletter#Riforme sul referendum costituzionale

La Newsletter#Riforme dedicata al Referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari del 14 settembre 2020.

I Dossier di documentazione delle Camere

Il Dossier del 19 giugno 2020 del Servizio studi della Camera ” Provvedimento D.L.n.26/2020 – Rinvio delle consultazioni elettorali ” Il Dossier n.71/6 del 7 ottobre 2019 dei Servizi studi delle Camere “Riduzione del numero dei parlamentari – A.C.1585-B” – Elementi per l’esame in Assemblea Il Dossier n.71/5 del 29 luglio 2019 dei Servizi studi delle Camere “Riduzione del numero dei parlamentari – A.C.1585-B” – Schede di lettura Il Dossier n.71/4 del 25 giugno 2019 dei Servizi studi delle Camere “Riduzione del numero dei parlamentari – A.S.214-515-805-B” Il Dossier n.71/3 del 19 aprile 2019 dei Servizi studi delle Camere “Riduzione del numero dei parlamentari. Elementi per l’esame in Assemblea – A.C.1585” – Elementi per l’esame in Assemblea Il Dossier n.71/2 del 27 febbraio 2019 dei Servizi studi delle Camere “Riduzione del numero dei parlamentari A.C.1585” – Schede di lettura

Che cosa fa un deputato?

Italia – In Italia erano chiamati così dal 1848 al 1861 i membri della Camera dei deputati del Regno di Sardegna, dal 1861 al 1939 quelli della Camera dei deputati del Regno d’Italia, dal 1945 al 1946 quelli della Consulta Nazionale e dal 1946 al 1948 quelli dell’ Assemblea Costituente,

Dal 1948 vengono così chiamati i membri della Camera dei deputati, che, secondo l’istituto della democrazia rappresentativa, sono i rappresentanti diretti dei cittadini, che li eleggono, nonché i membri dell’ Assemblea regionale siciliana (nell’isola si distingue, infatti, fra deputati nazionali e deputati regionali).

Ogni deputato, secondo l’art.67 Cost., quale membro del Parlamento italiano, rappresenta la Nazione nel suo insieme ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. La Costituzione della Repubblica Italiana fissa a 25 anni l’età minima per essere eletti ( elettorato passivo ).

  1. I deputati, suddivisi in gruppi parlamentari che tipicamente coincidono con i partiti politici, possono proporre e votare disegni di legge, presentare interpellanze e interrogazioni al governo e proporre mozioni.
  2. I deputati operano anche nelle commissioni permanenti, che assolvono importanti compiti nella fase di discussione e di approvazione delle leggi.

Il deputato non gode di una immunità per la quale non può essere penalmente perseguito senza l’autorizzazione della Camera dei deputati a seguito della riforma costituzionale del 1993, come stabilisce la Costituzione, e percepisce un’indennità economica, la cui misura è stabilita dalla legge, che ha la finalità di permettergli di svolgere la propria attività, senza problemi di carattere economico.

Cosa rappresenta l’ordine?

Disposizione regolare di più cose collocate, le une rispetto alle altre, secondo un criterio organico e ragionato, rispondente a fini di praticità, di opportunità, di armonia, e sim.: mettere, tenere in o.

Cosa dire in assemblea di classe?

Per scrivere il verbale di un’assemblea di classe è importantissimo seguire con attenzione la riunione e prendere appunti. Devi annotare: La data e l’ora di inizio e di fine assemblea; I presenti e gli eventuali assenti; I problemi del dibattito; Tutti gli interventi.

Che cos’è una mozione d’ordine?

Art.24 – Mozione d’ordine e fatto personale –

La mozione d’ordine consiste:

nel richiamo verbale volto ad ottenere che, nella trattazione di un argomento, siano osservati la legge, lo Statuto ed il presente regolamento; in una proposta relativa all’organizzazione dei lavori.

Nella discussione delle mozioni d’ordine, dopo il relatore, ha la parola un oratore a favore ed uno contro la proposta, nei limiti di quattro (4) minuti ciascuno. Si è in presenza di fatto personale quando, in un precedente intervento, un oratore abbia citato un Consigliere. Il Presidente decide se il fatto personale sussiste o meno. Se la decisione del Presidente non è accettata, il richiedente può appellarsi al Consiglio il quale decide con voto palese e senza discussione. L’intervento per fatto personale è volto a replicare alle affermazioni nelle quali il Consigliere è stato citato. Sulla richiesta di intervento per fatto personale, il Presidente può concedere la parola nel limite di quattro (4) minuti. Può altresì toglierla qualora chi l’ha avuta divaghi dall’argomento. Le richieste di intervento per mozione d’ordine o per fatto personale hanno la precedenza nella discussione.

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Come richiedere l’inserimento di un punto all’ordine del giorno?

Richiesta inserimento punti all’ordine del giorno Quando si vuole discutere di qualche cosa nella prossima assemblea di condominio, si deve scrivere una lettera all’amministratore per chiedergli di inserire i punti all’ordine del giorno. Se si desidera si potrà anche motivare tale richiesta.

  1. Lettera inviata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno.
  2. Sig.
  3. Residente in via,, n°,
  4. Comune di, Spett.
  5. Condominio,
  6. Comune di,
  7. Via,

n°, OGGETTO: RICHIESTA INSERIMENTO PUNTI ALL’ORDINE DEL GIORNO Il sottoscritto,, nato a, il,, proprietario dell’immobile situato al piano_ del condominio di via,n.

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Sicuro della Sua collaborazione, colgo l’occasione per porLe i miei più cordiali saluti.Luogo e data. Firma. : Richiesta inserimento punti all’ordine del giorno

Come incastrare il proprio amministratore di condominio?

Revoca amministratore di condominio per gravi irregolarità – La revoca dell’amministratore di condominio avviene innanzitutto inviando una lettera a quest’ultimo in cui si richiede la convocazione di un’assemblea. L’amministratore è obbligato a convocare l’assemblea su richiesta di almeno due condomini che rappresentino un sesto dell’edificio.

In caso di gravi inadempienze o negligenze (come non prendere iniziative rispetto ad importanti lavori di manutenzione segnalati) l’amministratore può essere revocato dall’assemblea condominiale o, su istanza del singolo condomino, dall’autorità giudiziaria. A tal proposito l’art.1129 del codice civile dispone che la revoca dell’amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall’assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina – quindi, da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio – con le modalità previste dal regolamento di condominio.

Di seguito i casi nei quali è ammessa la revoca: revoca assembleare, immotivata, giudiziale, le gravi irregolarità, le gravi irregolarità fiscali e la citazione per la revisione delle tabelle. I confini della nozione di gravi irregolarità sono lasciati volutamente indefiniti dal legislatore, il quale tuttavia provvede comunque a stilare un elenco non esaustivo di azioni od omissioni che possono essere ricondotti a tale concetto.

l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale; il ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge; la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell’assemblea; la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente bancario o postale intestato al condominio; la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini; l’aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio; qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio l’aver omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio; l’inottemperanza agli obblighi di cui all’art.1130, n.6), 7) e 9) (tenuta dei registri di anagrafe condominiale, registro dei verbali delle assemblee, registro di nomina e revoca dell’amministratore e registro di contabilità); l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma dell’articolo 1129 (informazioni scritte da fornire in caso di accettazione della nomina).

Ai sensi dell’articolo 69 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile, costituisce poi grave irregolarità idonea a giustificare la revoca dell’amministratore di condominio (e la sua condanna al risarcimento danni) la non ottemperanza all’obbligo di dare senza indugio notizia all’assemblea dei condomini dell’eventuale azione giudiziale intentata avverso il condominio per la revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio.

Come viene fatto un ordine di servizio?

Potere direttivo: come si esprime? – Il potere direttivo, nel concreto svolgimento del rapporto di lavoro, si esprime in vari modi. Rientrano in tale facoltà, ad esempio, le policy aziendali, ossia, dei documenti nei quali l’impresa illustra ai dipendenti quali sono le linee di condotta da seguire su una serie di argomenti specifici.

Ad esempio, la policy sull’uso degli strumenti informatici spiega ai lavoratori come devono utilizzare il pc aziendale, la mail di lavoro o il cellulare di servizio, indicando i comportamenti ammessi e quelli non consentiti,Un altro modo in cui si esprime il potere direttivo sono le istruzioni, che possono essere date sia oralmente che per iscritto dal superiore gerarchico al dipendente.Infine, troviamo gli ordini di servizio che sono dei provvedimenti scritti.

L’ ordine di servizio è un provvedimento scritto con cui il datore di lavoro prescrive un determinato obbligo di fare o di non fare ad uno o più dipendenti. Nella gran parte dei casi, il potere direttivo del datore di lavoro non viene esercitato con atti scritti ma con policy generali o istruzioni rese oralmente.

Quando si firma cosa si mette prima?

Come si può verificare in un qualsiasi manuale di ‘galateo linguistico’, quale per esempio Il Salvaitaliano di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, quando si firma un documento bisogna mettere prima il nome e poi il cognome (es. Mario Rossi).

Cosa significa firmare d’ordine?

La sentenza della Cassazione, Sezione V, Civile, 9.9.2022, n.26694 (sul punto, “La delega di firma realizza solo un decentramento burocratico”, di Pietro Alessio Palumbo, 23 Settembre 2022, NT+) fornisce interessanti spunti per comprendere la distinzione tra delega di funzioni e delega di firma.

Le indicazioni della Cassazione sono molto trancianti: la delega di firma ” si verifica quando un organo, pur mantenendo la piena titolarità circa l’esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo, ma anche a funzionario non titolare di organo, il compito di firmare gli atti di esercizio dei potere stesso: in questi casi l’atto firmato dal delegato, pur essendo certamente frutto dell’attività decisionale di quest’ultimo, resta formalmente imputato all’organo delegante, senza nessuna alterazione dell’ordine delle competenze (Cass.n.6113 del 2005).

Al contrario, l’istituto di diritto pubblico della «delegazione amministrativa» di competenze assume rilevanza esterna, ragion per cui si richiede che sia disciplinato per legge, attuandosi, mediante adozione di un formale atto di delega, l’attribuzione ad un diverso ufficio od ente di poteri in deroga alla disciplina normativa delle competenze amministrative (c.d.

  • Delega di funzioni).
  • Appare evidente la differenza fra le due figure: la «delega di firma» realizza un mero decentramento burocratico in quanto il «delegato alla firma» non esercita in modo autonomo e con assunzione di responsabilità i poteri inerenti alle competenze amministrative riservate al delegante, ma agisce semplicemente come longa manus – e dunque in qualità di mero sostituto materiale – del soggetto persona fisica titolare dell’organo cui è attribuita la competenza.

L’atto di «delegazione della competenza» ha, invece, rilevanza esterna, essendo suscettibile di alterare il regime della imputazione dell’atto, al contrario di quanto si verifica nell’ipotesi della mera delega di firma, nella quale il delegante rimane l’unico ed esclusivo soggetto dal quale l’atto proviene e del quale si assume la piena responsabilità verso l’esterno (Cass.n.11013 del 2019) “.

  1. Approfondendo ulteriormente, si evidenzia come sia pacifica in dottrina l’opinione che la cosiddetta delega di firma sia istituto differente dalla delega vera e propria.
  2. E’ osservazione comune, accolta da tutti, che la delega di firma non comporta quell’attribuzione, in via amministrativa, di competenze dal delegante al delegato che permetta di costituire un nuovo “ufficio”, quello del delegato, dotato di una propria sfera individuale di poteri e responsabilità, distinta da quella del delegante.

La figura seguente, rappresenta il fenomeno della delega. Il soggetto che detiene a titolo originario una sfera di poteri (organo), in quanto a ciò legittimato dalla legge, adotta un provvedimento amministrativo, col quale delega ad un altro soggetto parte delle proprie competenze.

In questo modo, la sussistenza di una doppia fonte di legittimazione, la legge che permette la delega e l’atto di delega adottato dal titolare, costituisce un nuovo organo-ufficio, il quale esercita una quota-parte delle competenze proprie del delegante, nell’ambito di una nuova e diversa sfera di competenza, autonoma dalla prima.

Infatti, l’atto di delega, come visto nei precedenti capitoli, non crea un rapporto di subordinazione gerarchica e, qualora delegante e delegato fossero in relazione di gerarchia, la delega non ne risente: il delegato, quando agisce come titolare dell’organo di secondo grado istituito con la delega, non è un subordinato del delegante, il quale può solo impartire direttive nei confronti del primo, non ordini di servizio, né provvedimenti di riesame degli atti posti in essere dal delegato.

  • Per riappropriarsi della competenza che, in quanto delegata ha dismesso, può solo adottare un atto contrario alla delega, revocandola in via espressa.
  • La delega di firma consiste in un altro fenomeno.
  • In particolare, manca del tutto la dismissione di quota parte delle competenze del delegante, in quanto la sua sfera di poteri rimane integra.

Tradizionalmente, la delega di firma si ricostruisce come la mera attribuzione che il titolare dell’ufficio attribuisce ad altro dipendente dell’ufficio stesso a sottoscrivere per suo conto un determinato provvedimento. Tale ricostruzione interpretativa conseguentemente ritiene che l’atto sottoscritto dal delegato alla firma sia da imputare comunque al delegante, il quale, pertanto, ne rimane responsabile.

  1. In sostanza, il delegato alla firma agisce, per effetto di questa particolare delega, come fosse un mero nuncius del delegante, senza assumere alcun ruolo nelle scelte di merito che sottostanno al provvedimento da lui sottoscritto.
  2. In base a questa interpretazione, la delega alla firma viene considerata un’utile modalità organizzativa, che consente al titolare di un organo di sgravarsi dal mero adempimento della sottoscrizione, ferma restando l’imputazione degli atti sottoscritti dal delegato alla firma in capo al delegante, purchè la delega alla firma sia evidenziata dalle due formule alternative “per il titolare”, oppure “d’ordine del titolare”.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I, 10.4.2002, n.4489 ha considerato ammissibile e legittima la possibilità del presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa di avvalersi del segretario dell’organo per convocare il collegio, delegandogli il formale compimento delle necessarie operazioni, in quanto del tutto conforme ai principi generali, i quali ammettono il ricorso alla delega di firma o alla firma “d’ordine” per le attività meramente strumentali serventi a quella provvedimentale.

Si tornerà su questa affermazione del Tar Lazio, perché essa configura con precisione uno degli elementi fondamentali della delega di firma. Il quale, pur essendo un istituto estremamente risalente nel tempo, ancora oggi è considerato un ordinario strumento di organizzazione. Secondo altra giurisprudenza, a prescindere dall’articolo 17, comma 1 bis, del D.

Lgs.30 marzo 2001 n.165 (come modificato dalla legge 15 luglio 2002, n.145) che prevede espressamente la possibilità di delegare funzioni dirigenziali, non è configurabile il vizio di incompetenza qualora si sia in presenza non già delega di funzioni, ma di mera delega di firma che, senza alterare l’ordine delle competenze, attribuisca al soggetto delegato il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell’autorità delegante e non di quella delegata.

Questa ricostruzione giurisprudenziale è del tutto conforme alla dottrina maggioritaria, che vede nella delega di firma una sorta di scissione tra volontà dell’atto e sua imputazione e sottoscrizione dell’atto stesso. Allo stesso modo, aveva precedentemente deciso altro giudice amministrativo, secondo il quale pur prescindendo da quanto disposto dalla legge 145/2002 che ha introdotto il comma 1 bis all’articolo 17 del D.Lgs.n.165/01, che prevede espressamente la possibilità di delegare funzioni dirigenziali, va rilevato che, nel caso di specie, si è in presenza non già delega di funzioni ma di mera delega di firma che, senza alterare l’ordine delle competenze, attribuisce al soggetto titolare dell’ufficio delegato (e non all’ ufficio oggettivamente considerato) il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell’autorità delegante e non di quella delegata.

Tale tesi espressa da larga parte della giurisprudenza amministrativa è estremamente risalente nel tempo, e trae origine dall’articolo 15 del regolamento 23.10.1853, n.1611, di attuazione della legge 1453/1853, che aveva impostato la disciplina generale dei ministeri del Regno, prima della definitiva unificazione.

  1. Tale disposizione stabiliva che ” il segretario generale o i direttori generali firmano per il ministro ed esercitano in di lui nome le attribuzioni che gli sono proprie, nei limiti da lui stabiliti “.
  2. La norma citata rappresentava un primo timido elemento di attribuzione di funzioni esterne alla dirigenza pubblica, nell’ambito di un regime che ancora accentrava fortissimamente ogni competenza decisionale in capo all’organo politico.
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In quell’epoca, l’organizzazione dei ministeri era improntata alla piena e forte dipendenza gerarchica dei funzionari (il concetto di dirigente è entrato molto dopo) nei confronti del ministro, unico soggetto dotato di poteri decisionali a rilevanza esterna, cui facesse capo la conseguente responsabilità.

Al ministro, dunque, era riservato ogni potere di decisione e di emanazione di atti o provvedimenti. L’articolo 15 citato, però, consentiva di flessibilizzare leggermente tale forte accentramento di poteri, avvalendosi della facoltà di delegazione, la quale in sostanza consisteva nell’esercizio indiretto delle competenze ministeriali mediante funzionari subordinati.

Pertanto, anche i segretari generali o i direttori generali, funzionari posti ai vertici delle complesse organizzazioni ministeriali, avevano in generale solo compiti ausiliari nei confronti del ministro, compiti che potevano essere allargati nella loro portata in presenza del conferimento del potere di firmare per il ministro, che li rendeva responsabili nei sui confronti degli effetti esterni derivanti dall’atto da loro sottoscritto.

  1. Si è ritenuto che i ministri potevano delegare la firma (non l’attività) ai direttori generali come pure potevano consentire che i funzionari sottoscrivessero gli atti “d’ordine”.
  2. Comunque, e nell’uno e nell’altro caso, gli atti adottati dai funzionari in seguito a delega ministeriale della firma o “d’ordine” risalivano pur sempre in capo al ministro,

L’articolo 15 del regolamento 1611/1853 è stato considerato il precetto normativo dal quale deriva l’immanenza nell’ordinamento giuridico della figura della delega di firma e la ricostruzione tradizionale del fenomeno, sintetizzata nella figura sottostante: Tuttavia, la tradizionale configurazione del fenomeno della delega di firma non appare del tutto appagante e sembra preferibile la diversa tesi che configura tale istituto come sostituzione, volontaria oppure ex lege, La critica alla concezione tradizionale della delega di firma deve essere preceduta dall’analisi approfondita del concetto di organo.

  1. La persona giuridica pubblica, al pari della persona giuridica di diritto privato, pur avendo personalità giuridica non può agire direttamente, in quanto è un istituto di creazione del diritto e non esiste in natura.
  2. Nel diritto privato, il problema di permettere alla persona giuridica di agire in modo giuridicamente rilevante, compiendo atti finalizzati a perseguire i propri scopi, è risolto con l’interposizione tra la persona giuridica ed il terzo col quale intrattiene rapporti negoziale di un rappresentante, che può essere tale perché è la legge che lo identifica in quel ruolo, o perché debitamente destinatario di una procura rilasciata da altro rappresentante della persona giuridica.

A ben vedere, però, lo schema della rappresentanza non può operare nell’ambito pubblicistico, in quanto non vi è separazione da capacità giuridica e capacità di agire dell’ente pubblico, il quale agisce immediatamente e direttamente nei confronti dei cittadini.

  • Ovviamente, tale attività è materialmente posta in essere da una o più persone fisiche, legittimate dalla legge ad agire, non in nome e per conto dell’ente, ma impersonando l’ente stesso, che, pertanto, esplica attraverso tali soggetti la propria volontà.
  • Tali persone fisiche, dunque, sono un tutt’uno con la persona giuridica pubblica e, mutuando dalla biologia la metafora, sono considerati come “organi” della stessa, capaci di porre materialmente in essere gli atti negoziali o provvedimentali mediante i quali la persona giuridica persegue i propri fini, così come previsto dalla legge.

L’insieme dei poteri che la persona fisica esercita nel perseguire i fini stabiliti dalla legge (che rappresentano, dunque, sia la ragion d’essere della persona giuridica, sia il limite alla sua capacità di agire) è la competenza. L’organo pubblico, allora, non solo è legittimato ad impersonare l’ente al quale è legato dal rapporto di immedesimazione organica, ma esercita i poteri che costituiscono la misura della propria capacità di agire,

  1. L’organo può esercitare tutti i poteri della persona giuridica pubblica, quando sia l’unico organo previsto dalla normativa che ne regola il funzionamento.
  2. Oppure, può esercitare solo una specifica frazione di tali poteri e, quindi, una quota parte della competenza dell’ente, quando esso sia dotato di più organi.

In questo caso, sono leggi e regolamenti interni a determinare nell’ambito della più ampia sfera di competenza dell’ente, quali sono le specifiche quote di poteri esercitabili da ciascun organo. Si sono, così, identificati tre elementi fondamentali dell’organo:

  1. l’appartenenza all’organizzazione dell’ente, mediante un rapporto di immedesimazione organica;
  2. l’attitudine ad esercitare tutti o parte dei poteri propri dell’ente del quale fa parte (competenza);
  3. l’attribuzione delle funzioni di organo ad una persona fisica, nel caso di organo monocratico, o a più persone fisiche, nel caso di organo collegiale.

Manca un quarto elemento fondante, che se non preso nella dovuta considerazione può lasciare incorrere in un errore, alla base della non corretta percezione della figura della delega di firma. In effetti, senza l’ulteriore elemento costitutivo dell’organo, si è portati a ritenere che l’organo coincida sostanzialmente con la persona fisica cui la norma attribuisca il potere di agire.

l’insieme delle risorse umane, finanziarie, strumentali e di controllo costituenti un nucleo organizzato, facente capo alla persona fisica preposta alla sua direzione, in quanto titolare del potere di agire impersonando l’ente,

Dunque l’organo non è solo la persona fisica che ne è titolare; né è solo la competenza che gli è attribuita dalla legge, ma è necessariamente l’insieme degli elementi visti sopra. Fondamentale, ai fini della corretta definizione della delega di firma, è la considerazione che organo non è soltanto la persona fisica titolare.

Ulteriore elemento da considerare prima di giungere alle conclusioni finali è la struttura obbligatoria del provvedimento amministrativo. Secondo la pacifica dottrina e l’unanime giurisprudenza, l’atto amministrativo si compone di una serie di elementi, necessari ai fini della propria validità ed efficacia,

Tra questi rientra la sottoscrizione, la cui mancanza inficia la stessa esistenza giuridica del provvedimento amministrativo. Come per qualunque atto anche di diritto privato, il provvedimento amministrativo deve essere firmato con sottoscrizione autografa da parte del titolare dell’organo,

La sottoscrizione autografa è richiesta obbligatoriamente solo per l’originale del documento nel quale è rappresentata la volontà espressa col provvedimento. Nelle copie è possibile sostituire la firma autografa con un timbro od una rappresentazione a stampa come ” firmato, il responsabile ” che indichi il nome e cognome di chi abbia sottoscritto l’originale e riporti con precisione l’indicazione che si tratta di una copia.

La copia, in quanto tale, non è necessariamente la fotocopia, ma la riproduzione del contenuto di un documento. Tale riproduzione, per assurdo, potrebbe anche essere effettuata a mano. E’ evidente che chi riproduce il documento, se persona diversa da quella che ha sottoscritto, non può imitarne la firma.

  1. Si limiterà, allora, a riportare la circostanza che il documento è firmato da chi lo ha effettivamente sottoscritto.
  2. Ci si è brevemente soffermati su questi aspetti anche molto di dettaglio riguardanti il provvedimento amministrativo, per constatare un fatto estremamente importante: il provvedimento amministrativo non solo deve obbligatoriamente essere sottoscritto, ma per essere valido non può che essere sottoscritto dalla persona fisica titolare dell’organo competente ad emetterlo.

La sottoscrizione del provvedimento da parte di una persona fisica diversa, equivarrebbe a totale mancanza di sottoscrizione o, comunque, ad atto nullo per incompetenza assoluta. Infatti, quel determinato provvedimento amministrativo, per essere valido ed efficace, non può che provenire esclusivamente dalla sfera di volontà e competenza del soggetto legittimato a manifestare e formare la volontà dell’ente e da nessun altro soggetto.

Ora, si è detto sopra che organo non è solo la persona fisica titolare dei poteri connessi, ma il nucleo operativo composto della persona titolare, nonché delle risorse finanziarie, strumentali, di controllo ed umane che costituiscono l’ufficio del quale l’organo si serve per realizzare la propria attività.

La concezione generalmente prevalente della delega di firma, in questo quadro, finisce per configurarla come l’utilizzo di una risorsa umana, al fine di sgravare il titolare dell’organo del compito della mera sottoscrizione di una serie di atti routinari o il cui contenuto sia, comunque, predeterminato dal titolare stesso.

La firma “d’ordine” o “per” il titolare, dunque, chiuderebbe il provvedimento amministrativo con l’esercizio del potere decisionale del titolare, espresso in forma “mediata” dal delegato alla firma. E’ evidente, a questo punto, il difetto che mina alla base la correttezza di tale interpretazione: la scissione tra il soggetto che esprime la volontà che esprime il contenuto del provvedimento amministrativo ed il soggetto che sottoscrive.

Difetto che deriva dalla visione dell’organo esclusivamente come persona fisica titolare e non, piuttosto, come insieme di risorse facenti capo al titolare stesso. Per quanto routinari o ordinari che siano, i provvedimenti amministrativi appartenenti alla competenza del titolare dell’organo non possono che essere emanati e sottoscritti dal titolare stesso.

Poiché la delega di firma, a differenza della delega vera e propria, non determina alcuna modifica della sfera di competenza del delegante alla firma, che rimane dunque intatta, ciò significa che l’ufficio-organo inteso come complesso composto da titolare, competenza, risorse, rimane unico. A differenza della delega vera e propria, dalla quale deriva, invece, la costituzione di un nuovo ufficio.

Allora, se il titolare dell’ufficio non può che essere uno ed uno solo, la delega alla firma non è uno strumento da utilizzare per dissociare la volontà di adottare un determinato provvedimento dalla sua sottoscrizione. Non potrebbe mai esserlo, perché è proprio la sottoscrizione l’istituto giuridico al quale l’ordinamento attribuisce l’effetto di ricondurre la volontà di quanto contenuto in un documento, atto o provvedimento, al soggetto che sottoscrive.

La delega di firma non potrebbe legittimamente causare questo effetto contrario ad ogni principio e regola giuridica. Piuttosto, la delega di firma altro non è che una sostituzione del titolare persona fisica di un organo, con altro titolare del medesimo organo (proprio perché non si tratta di delega vera e propria).

Il titolare dell’organo ricava da una disposizione di legge un potere di determinare organizzativamente le modalità del proprio operato. Esempio di tale disposizione normativa era il citato articolo 15 del regolamento 1611/1853, che consentiva al ministro di permettere ai direttori generali di esercitare nel suo nome le attribuzioni sue proprie e nei limiti da lui stabiliti.

  • Il delegato alla firma, nell’ambito di tale storica norma giuridica che ha dato l’avvio all’istituto della delega di firma, dunque, non è un mero soggetto interposto tra la formazione della volontà e la formalizzazione della sottoscrizione dell’atto che la racchiude.
  • Si tratta, invece, di un sostituto, che il titolare dell’organo investe della competenza di adottare direttamente un atto, pur senza creare un nuovo ufficio.

In particolare, si tratta di una sostituzione “volontaria”. L’istituto della sostituzione è noto e conosciuto come strumento, consentito in termini generali dall’ordinamento, per consentire la continuità dell’azione amministrativa di un organo. S’è detto prima che l’organo è costituito dall’insieme di competenza, risorse e titolarità ascritta ad una certa persona fisica.

Eventi ordinari o straordinari possono cagionare la temporanea mancanza della persona fisica titolare. Tale situazione, però, non può avere la conseguenza di bloccare le funzioni dell’organo, del quale la persona fisica titolare rappresenta solo uno degli elementi costitutivi. L’organo può continuare a svolgere le proprie funzioni semplicemente sostituendo, temporaneamente, la persona fisica titolare assente, con un altro soggetto legittimato da norme di organizzazione a insediarsi nella titolarità dell’assente ed esercitarne le medesime funzioni.

Questa è la sostituzione ex lege che non determina, a differenza della delega, alcuna devoluzione di competenza dall’organo titolare ad altro organo delegato. Il che significa che l’attività posta in essere dal sostituto rimane sempre imputata all’organo (cambia solo la responsabilità personale del titolare dell’organo).

  1. La sostituzione per legge opera, dunque, in caso di assenza o impedimento della persona fisica titolare dell’organo.
  2. La sostituzione volontaria, invece, opera quando una disposizione normativa consente al titolare dell’organo di farsi sostituire, anche se il titolare sia presente in servizio, nell’esercizio delle attribuzioni proprie dell’organo, limitato solo a certi atti e ulteriormente limitato dall’atto di conferimento di tale potere, la delega di firma, appunto.

La delega di firma, allora, può così essere inquadrata per quello che realmente è: la temporanea attribuzione del potere di sottoscrivere atti propri dell’organo, che il suo titolare assegna ad un altro funzionario che diviene temporaneamente contitolare, solo per l’adozione di quei determinati atti e solo nel rispetto dei limiti stabiliti dal delegante alla firma.

  1. In questo caso, la responsabilità complessiva dell’adozione dei provvedimenti ricade sull’organo, inteso come più volte sopra indicato.
  2. La responsabilità personale va ripartita, invece, tra i due contitolari, fermo restando che il delegante alla firma assume una responsabilità comunque più ampia, perché ha il potere di determinare la volontà da manifestare col provvedimento.

Considerata sotto questo punto di vista, la delega alla firma altro non è che una particolare modalità di esercizio di una vera e propria modalità organizzativa di tipo gerarchico. Nel sistema gerarchico puro, i poteri dell’organo possono essere esercitati sia dal titolare superiore gerarchico, sia, in parte, da subordinati gerarchici.

Questi, per legge, adottano in nome proprio i provvedimenti dell’organo, ma il superiore gerarchico può imporre il contenuto degli atti dei subordinati gerarchici mediante ordini di servizio e riservarsi in qualunque momento di adottarli in prima persona, avocando a sé l’esercizio diretto della competenza, ripartita tra sé ed il subordinato gerarchico.

La delega di firma, intesa come sostituzione volontaria, è un rimedio speciale all’assenza di una specifica attribuzione di competenze proprie all’organo subordinato gerarchicamente, il quale, dunque, non potrebbe adottare e sottoscrivere quel dato provvedimento.

  1. Allora, il titolare dell’organo, purchè autorizzato a ciò dalla legge, crea con la delega alla firma un contitolare, i cui poteri sono circoscritti ad adottare solo certi atti e non altri, nel rispetto di indicazioni operative molto simili ad ordini di servizio.
  2. Si può dunque affermare che, a differenza della delega da cui scaturisce una relazione tra uffici diversi, la delega di firma o sostituzione volontaria crea una relazione tra titolari di uno stesso ufficio,

Il fenomeno della delega di firma, dunque, propriamente consiste in un trasferimento di poteri tra due titolari di un medesimo organo. Il primo, che delega alla firma, è il titolare principale e pieno dell’organo. Il secondo, delegato alla firma, è reso titolare in via temporanea e limitata agli atti previsti dalla delega di firma ed al contenuto stabilito dalla delega, per effetto di una speciale disposizione organizzativa, prevista dalla legge.

Non diversamente ha deciso il Consiglio di stato, Commissione speciale pubblico impiego nell’adunanza del 13 dicembre1999, in merito alla suscettibilità di ricorso gerarchico (o, meglio, della definitività) del provvedimento adottato da un dirigente dello Stato su delega di un dirigente generale. Il Consiglio di stato ha rilevato che ” l’atto è stato emanato non nell’esercizio di una competenza propria dell’ufficio (dirigente) che lo ha posto in essere, ma nell’esercizio di una competenza a quello derivata da altro e superiore ufficio (dirigente generale), vale a dire si tratta di un atto emanato su delega di firma, occorre verificare se al suo riguardo operi la caratterizzazione di non suscettibilità di ricorso gerarchico (cioè: di definitività) stabilita dall’attuale art.16, comma 4, d.

lgs.n.29 del 1993. Invero, movendo dai caratteri particolari della delega di firma (che si ha laddove il delegato riceve dal delegante l’incarico di formare atti in sua vece, o “d’ordine”, o “per” lui, vale a dire in sua rappresentanza) la considerazione centrale da fare è che l’atto emesso in tale ipotesi tiene luogo, secondo i principi generali in tema di rappresentanza, di un atto del delegante e perciò va assimilato, quando a valore, a quello.

In altri termini, è come se l’atto fosse stato emesso dal delegante. Ciò vale, come conseguenza diretta, anche quanto a regime: il delegante si spoglia infatti, per effetto implicito della delega, del potere decisorio che inerisce al rapporto di gerarchia e lo trasmette al delegato. La dismissione attiene sia l’esercizio attivo del potere, vale a dire l’azione che si manifesta nel porre in essere l’atto, sia l’esercizio ‘passivo’, quale è quello derivante dalla investitura, in concreto, a seguito di un ricorso di un interessato.

Vero è che la relazione gerarchica è una condizione organizzativa che precede e persiste all’atto e che continua anche dopo le recenti riforme ad improntare di sé ogni apparato amministrativo per garantirne l’unità di indirizzo; e che la disposizione del potere da parte del delegante non fa venir meno la relazione gerarchica su cui tale stessa disposizione si basa.

Ma l’evocazione del rapporto gerarchico attiene, l’eventuale revoca della delega, cioè la situazione che è alla base dell’investitura e esercizio da parte del delegato della funzione, non già il regime che inerisce la vicenda successiva dell’atto, che resta caratterizzato, non meno che l’atto stesso, dall’effetto traslativo proprio della delega.

Con la delega di firma, in altri termini il delegato acquista, a proposito dell’atto, le attribuzioni dell’ufficio superiore a causa dell’oggettiva devoluzione di potere, e con tanto di imputazione del suo esercizio. Ciò che afferisce – come appunto il potere di riesame in sede di ricorso interno alla amministrazione – alla posizione del superiore gerarchico e che è espressione di un più generale potere di sorveglianza e controllo sugli uffici sottoordinati, viene dunque sotto tale aspetto meno.

Pertanto l’atto resta per l’effetto della delega apicale e non muta regime. Consegue da ciò che l’atto qui in esame, in quanto su delega di firma, non restava suscettibile di ricorso gerarchico, vale a dire era definitivo: il che apre l’ammissibilità della sua impugnazione immediata in sede di ricorso straordinario “.

Oggi, ai sensi dell’articolo 155 del Dpr 3/1957 ” il direttore generale ed il capo di ufficio centrale equiparato alla direzione generale esercitano le funzione che ad essi sono direttamente attribuite da leggi e regolamenti; provvedono nelle materie ad essi delegate dal ministro; coadiuvano il ministro nello svolgimento dell’azione amministrativa “.

Quest’ultima funzione attiene a poteri quali organi interni. Tali ultimi poteri possono essere accresciuti dal ministro mediante la delega di firma, che permette ai direttori generali di firmare “per” o “d’ordine” del ministro, come sostituzione volontaria, secondo lo schema indicato sopra, che riconduce la delega di firma alla sua corretta configurazione di sostituzione e non di strumento che dissocia la volontà di un atto dal soggetto che lo sottoscrive, pur lasciando l’imputazione dell’atto al soggetto che delega,

La giurisprudenza ha fornito una corretta definizione della delega di firma, sottolineando che essa, a differenza della delega di funzioni, senza alterare l’ordine delle competenze attribuisce al soggetto titolare dell’ufficio delegato (e non all’ufficio oggettivamente considerato) il potere di sottoscrivere atti, i quali continuano ad essere sostanzialmente atti dell’autorità delegante e non di quella delegata.

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Questa lettura della delega di firma conferma che essa non determina una traslazione dei poteri dall’autorità delegante a quella delegata, creando così un nuovo ufficio (inteso come composizione di titolare dell’organo, poteri e dotazioni), ma, al contrario, la legittimazione del titolare di un diverso ufficio a sottoscrivere atti che continuano a restare atti dell’autorità delegante, sicchè il delegato alla firma altro non è, dunque, che un contitolare a titolo straordinario dell’autorità delegante.

Tar Campania – Napoli – Sezione IV, 7.7.2004 n.10477. Tar Toscana, Sezione III, 18 dicembre 2002, n.3372. Evoluzione storica del pubblico funzionario, in http://www.anfaci.it/amministrazione_pubblica/saggi_riflessioni/iannaci_5.htm.P. Sacco, Il profilo della delega e subdelega di funzioni amministrative, ed.

Giuffrè, Milano 1984, pag.90. Sostenuta da P. Sacco, Il profilo della delega cit., pagg.89-96. Tale rapporto si costituisce con varie modalità. Per effetto dell’investitura dell’elettorato, nei riguardi degli organi elettivi di governo, eletti a suffragio universale e diretto. Per effetto di una nomina di secondo grado, nei confronti degli organi di governo a loro volta eletti dagli organi eletti dai cittadini.

Per effetto della stipulazione del contratto di lavoro nella qualifica dirigenziale, per quanto riguarda i dirigenti. Per effetto del provvedimento di conferimento delle funzioni dirigenziali, adottato dal sindaco, nei confronti dei responsabili di servizio privi di tale qualifica negli enti senza dirigenza.

  1. Per effetto di norme speciali, che conferiscono temporaneamente la qualità di organo a persone non appartenenti stabilmente all’organizzazione dell’ente, come il direttore dei lavori di un’opera pubblica, oppure i componenti di una commissione di concorso.
  2. Ci si riferisce, allora, all’organo in senso proprio, quello, cioè, che esercitando le proprie competenze incide nei rapporti con i terzi, costituendo, modificando od estinguendo nei loro confronti situazioni giuridiche soggettive.

Diverso, invece, è il concetto di organo interno o mero ufficio, la cui competenza rimane priva di rilevanza esterna, perché consiste nello svolgimento di un’attività preparatoria, volta al miglior funzionamento dell’ente (esempio ne sia il responsabile del procedimento).

Così V. Italia, G. Landi, G. Potenza, Manuale di diritto amministrativo, cit., pag.70. Per un’analisi completa dell’argomento, F. Botta, Atti amministrativi: redazione e adozione, ed. Giuffrè, coll. Cosa & Come, Milano, 2001, pagg.47-186. Qualora l’ente sia dotato della strumentazione necessaria, la firma autografa, come è noto, può essere sostituita dalla firma digitale.

In questo senso, P. Sacco, Il profilo della delega cit. pag.92; P. Virga, il Provvedimento amministrativo, ed. Giuffrè, IV edizione, Milano, 1972, pag.63, che parla di trasferimento di poteri tra titolari di organi.E. Barusso, Il ricorso all’istituto della delega negli enti locali, con particolare riferimento alla delega dei dirigenti, in www.halley.it. Hits: 824

Perché si mette prima il nome e poi il cognome?

Firma: prima il nome o il cognome? Qual è il modo corretto per firmare?

  • Cosa C
  • 3′ di lettura
  • Il nome è indicato prima del cognome ecco perché non ci sono dubbi sulla precedenza del nome ogni volta che bisogna indicare le proprie generalità o si deve firmare un documento.
  • Ti sarà sicuramente capitato di presentare un’istanza o un documento ufficiale in cui dover riportare le tue generalità e, in quell’occasione, di chiederti se debba essere indicato prima il nome o il cognome.

Fin dopo la seconda guerra mondiale, quando ci si presentava a un colloquio di lavoro, a un insegnante o a un pubblico ufficiale, si osservava sempre la forma di riferire prima il cognome e poi il nome. Questo retaggio culturale è stato via via abbandonato e oggi il cognome segue quasi sempre il nome.

Il problema si pone, ovviamente, solo quando si ha a che fare con atti scritti e con la firma di documenti ufficiali, quelli rivolti di norma alla pubblica amministrazione o in ambienti lavorativi. Ragione storica e ” galateo linguistico ” dell’Accademia della Crusca A spiegare l’origine dell’ordine nome e cognome nella firma è l’Accademia della Crusca: la persona è identificata dal proprio nome e non dal cognome che si aggiunge solo come specificazione aggiuntiva.

Tra nome e cognome vengono invece posti i secondi nomi. Quando il cognome ha la precedenza sul nome? Esiste però un’eccezione: l’ordine può essere invertito nel caso in cui il nominativo debba essere inserito in un elenco alfabetico, che terrà sicuramente conto del cognome.

  1. Nome e cognome nella firma: cosa dice il Codice Civile
  2. Come già detto, fino al secondo dopoguerra in Italia si era consolidata la prassi per cui quando ci si presentava davanti ad un pubblico ufficiale – o anche ad un colloquio di lavoro – si dichiarava prima il cognome e poi il nome.
  3. Nel Codice Civile però è stabilito diversamente, ecco perché ad oggi questa prassi è stata abbandonata e si è soliti dare la precedenza al nome.
  4. Infatti, il secondo comma dell’articolo 6 del Codice Civile – ” Diritto al nome ” – stabilisce che nel nome sono compresi prenome (appunto il nome di battesimo) e il cognome, il quale indica l’appartenenza ad un determinato gruppo familiare.

Lo stesso Codice Civile quindi dà la precedenza al nome sul cognome, rovesciando la prassi degli anni ‘30 e ‘40. Per questo oggi la forma corretta – salvo il caso in cui sia stabilito diversamente – è quella che vede il nome precedere il cognome, sia quando si firma che quando si compila un modulo.

  • nome;
  • cognome;
  • luogo e data di nascita;
  • cittadinanza;
  • residenza.

Anche se il nostro ordinamento riconosce la precedenza del nome sul cognome, niente vieta a determinati contratti di prevedere diversamente. In tal caso però nel modulo prestampato bisogna indicare chiaramente l’ordine voluto. Bisogna anche dire a tutti coloro che in questi anni hanno sempre firmato indicando prima il cognome e poi il nome che la firma non è da considerare nulla, al massimo vi verrà chiesto di compilare nuovamente un determinato documento inserendo le proprie generalità nell’ordine corretto.

  • Come deve essere la firma per essere valida?
  • Come abbiamo appena visto la firma è valida sia quando si comincia correttamente con il nome che quando si dà la preferenza al cognome.
  • La “firma, per essere valida, deve, innanzitutto, essere redatta di proprio pugno” e deve avere la funzione di “certificare l’attribuibilità del documento a colui che l’ha firmato” e inoltre deve essere attribuibile alla persona alla quale l’atto fa riferimento.

Quest’ultimo punto sta a significare che la firma deve essere sempre riconducibile al proprio autore, anche in seguito ad un’approfondita perizia grafologica. Per questo motivo sono valide le firme non considerate leggibili che però presentano dei caratteri distintivi dell’autore.

  1. Non è ammesso invece firmare utilizzando delle forme geometriche o composte, poiché in questo caso anche un esperto grafologo non sarà in grado di individuarne l’autore.
  2. Chi può contestare la firma? Ammettiamo che tu abbia sempre firmato in un modo, ad esempio prima il cognome e poi il nome, e che, a partire da un determinato momento della tua vita, abbia deciso di modificare tale abitudine, anteponendo il nome.

Puoi farlo? Assolutamente sì. Per legge, infatti, l’unica persona che può contestare una firma è colui che l’ha apposta.

  1. Inoltre, immaginiamo di ricevere una fattura, una bolletta o qualsiasi altra richiesta di pagamento per un contratto che non abbiamo mai firmato, ma che ugualmente presenta una sigla con il nostro nome e cognome: si tratta di una macroscopica falsificazione, fatta da uno sconosciuto, per frodarci o per trarne lui stesso un vantaggio.
  2. Come difenderci da una firma falsa?
  3. La legge stabilisce che, quando la firma è apposta su una scrittura privata – ossia un documento firmato dalle parti, senza l’assistenza di un notaio o altro pubblico ufficiale – è sufficiente una contestazione: spetta poi alla controparte, qualora voglia servirsi di tale documento, dimostrare che la grafia è la nostra e che, quindi, la sottoscrizione è autentica. A questo punto sono possibili due strade:
  • il debitore si limita alla contestazione della firma e attende la successiva mossa del creditore. Quest’ultimo potrebbe preferire lasciare perdere e non agire; in tal caso non si porranno più problemi. Oppure potrebbe avviare una causa o un decreto ingiuntivo. In tale sede, il debitore deve contestare la firma apposta sulla scrittura privata, dichiarando nel proprio atto di costituzione che essa non è la propria. Spetta al creditore avviare un procedimento – chiamato «verificazione della scrittura privata» – con cui dimostrerà il contrario. La prova viene fornita tramite le cosiddette «scritture di raffronto», ossia altri documenti firmati dal presunto debitore, affinché un perito calligrafico accerti se la grafia è la stessa (e in tal caso viene confermato il credito) o meno (e in tal caso viene dichiarato non autentico il documento e annullata la richiesta di pagamento);
  • il debitore si fa parte attiva e avvia una causa affinché il giudice – prima ancora che il creditore si attivi – dichiari che la pretesa di pagamento di quest’ultimo non è dovuta (cosiddetto «accertamento negativo del credito»). Valgono le stesse regole del punto precedente: il debitore deve limitarsi a disconoscere la firma come propria, mentre spetta al creditore dimostrare il contrario.

: Firma: prima il nome o il cognome? Qual è il modo corretto per firmare?

Come scrivere le abbreviazione?

Concetto e specie – Il concetto su cui si basano le abbreviazioni è quello di scrivere una o più parole omettendone più lettere possibili, lasciando solo i segni grafici che permettono di riconoscere immediatamente la parola e contrassegnandola generalmente con un punto finale o intermedio.

  • Per abbreviare una parola possono essere lasciate la sola prima lettera (per esempio v.
  • Per via ), la prima parte ( sig.
  • Per signore ), i capi estremi ( c.so per corso ), o solo alcune consonanti ( sg.
  • Per seguente ).
  • Altre abbreviazioni possono essere costruite con l’utilizzo misto delle regole sopraccitate, omettendo sia sillabe finali sia lettere intermedie.

Le abbreviazioni si suddividono in:

  1. abbreviazioni per troncamento, formate da una o più lettere d’inizio della parola o delle parole abbreviate; possono dunque considerarsi un tipo di abbreviazione per troncamento anche le sigle, Per esempio dott. per dottore ; E.V. per Eccellenza Vostra ; AA.VV. solo plurale per Autori Vari, in passato usata in ambito bibliografico.
  2. Abbreviazioni per contrazione, in cui il punto sostituisce le lettere centrali di una parola: per esempio f.lli per fratelli ; la seconda parte può anche essere scritta in apice, come in n.º, o più spesso nº, per numero, Altre grafie cadute in disuso sono la scrittura continua con la tilde sull’ultima lettera della prima parte: per esempio chiar̃mo per chiarissimo ; la scrittura continua senz’altro: chiarmo ; la separazione con i due punti: chiar:mo, Il punto può essere spostato in fondo alla parola: per esempio dottor abbreviato per contrazione diventa non d.r ma dr. (in inglese, anche dr senza punto).
  3. Abbreviazioni per sequenza consonantica, formate dalla prima consonante della parola abbreviata e da una o più delle successive: per esempio cf. o cfr. per il latino confer (“confronta”), con il punto finale; sg. per seguente, con l’ultima consonante raddoppiata al plurale sgg. per seguenti (usata soprattutto per l’indicazione delle pagine).

Come si scrive la sigla?

Le regole per scrivere le sigle – Che cos’è una sigla? Le sigle sono nomi formati da una o più lettere iniziali di una o più parole. Per esempio, TAC è la sigla di tomografia assiale computerizzata, Quali sono le regole per la loro scrittura? Le sigle di enti e associazioni si scrivono con i punti tra una lettera e l’altra se ogni lettera è l’iniziale di una parola intera.

  1. Per esempio, A.E.M.
  2. È a sigla di Azienda Elettrica Municipalizzata,
  3. Una sigla puntata si scrive senza spazi tra un punto e la lettera successiva della sigla.
  4. Per esempio, avanti Cristo si scrive a.C.
  5. Se la sigla puntata coincide con la fine della frase, si mette un solo punto finale.
  6. La parola successiva inizerà con la maiuscola.

La sigla si scrive senza punti se non tutte le lettere che la compongono rappresentano l’iniziale di una parola. Per esempio, la sigla della Confederazione Generale dell’Industria Italiana è CONFINDUSTRIA, Se una sigla è diffusa, si può scrivere senza punti.

Come si abbrevia successivo?

seg. – Abbreviazione (anche sg.) di seguente o di e seguente (nel plur. segg. o sgg.); usata soprattutto in riferimenti bibliografici: nel seg. paragrafo ; alle pagine 124 e segg. (anche 124 segg.).

Come ad esempio abbreviato?

E.g.e.g. Equivale a per esempio ed è usata spec.

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