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Cosa Succede Dopo La Morte?

Che cosa si prova quando si muore?

Morire annegati – La morte per annegamento non è né piacevole né indolore, benché possa essere sorprendentemente rapida (anche se la capacità di nuotare e ancor di più la temperatura dell’acqua possono influire significativamente sui tempi). La prima sensazione percepita dal soggetto è il panico, che lo pervade nel momento in cui si prende coscienza che la situazione avrà esito mortale; s’inizia ad annaspare per inspirare quanta più aria possibile in superficie per poi trattenerla a lungo quando la testa scende al di sotto del livello dell’acqua.

  • età,
  • grado di allenamento,

e di altri fattori. A questo punto s’inizia a

  1. ingoiare acqua,
  2. tossire,
  3. sputare
  4. ed ingoiare più acqua ancora.

il liquido, che a questo punto comincia a raggiungere i polmoni, impedisce il normale scambio di gas che rende possibile l’assorbimento dell’ossigeno e, più o meno contemporaneamente, sopraggiunge il laringospasmo, Si prova quindi una sensazione di lacrimazione accompagnata da forte bruciore al petto : solo a questo punto il panico lascia spazio ad una paradossale sensazione di calma e tranquillità fino ad una perdita di conoscenza per mancanza di ossigeno, che precede arresto cardiaco e successivamente morte cerebrale. Cosa Succede Dopo La Morte iStock.com/Anton_Sokolov

Cosa succede al corpo nella tomba?

I tempi di scheletrificazione – Notoriamente le componenti ossee del corpo sono le ultime a decomporsi, dunque lo scheletro è quanto spesso si ritrova di una salma a seguito della riesumazione, Il tempo necessario perché un corpo umano si riduca ad uno scheletro può variare notevolmente.

Normalmente il corpo di un adulto sepolto in terreno ordinario senza una bara richiede dieci-dodici anni per decomporsi a scheletro, in un clima temperato. Immergendo il corpo in acqua, la scheletrificazione accade circa quattro volte più velocemente; esponendo il cadavere all’aria aperta, otto volte più velocemente.

Lo scheletro, in sé, non è permanente poiché gli acidi a cui il cadavere è esposto possono disintegrarlo: questo è uno dei motivi della mancanza di resti umani nel relitto del Titanic anche in parti della nave inaccessibili ai pesci e ad altri agenti degradanti.

Qual è l’organo che muore per ultimo?

Appena giunto l’arresto cardiocircolatorio l’ultimo organo a spegnersi sembra essere il cervello, il quale mostra attivitá elettrica ancora per 10 minuti. Per questo si pensa che le persone appena defunte possano ancora sentirci anche dopo l’arresto.

Cosa succede al cervello prima della morte?

Limiti dello studio (e prospettive future di ricerca) – Lo studio si è basato su un campione ridotto, inoltre, non è possibile sapere con certezza quel che hanno vissuto i pazienti esaminati perché non sono sopravvissuti. “Tuttavia – hanno affermato gli autori -, i risultati osservati sono decisamente entusiasmanti e forniscono un nuovo quadro per la nostra comprensione della coscienza nascosta negli esseri umani morenti.

Quando inizia il rantolo?

Anomalo rumore respiratorio che il medico percepisce all’ auscultazione dei polmoni. In base a questo reperto è possibile stabilire una diagnosi più precisa di alcune malattie broncopolmonari. Tipi di rantolo Rantoli crepitanti Insorgono alla fine dell’ inspirazione, sono lievi, secchi, d’ intensità disuguale, simili al fruscio prodotto strofinando una ciocca di capelli; rivelano una lesione localizzata ( polmonite ) o diffusa ( fibrosi polmonare, edema ) degli alveoli e del tessuto polmonare.

Quanto dura la fase di morte attiva?

Dura da poche ore a uno o due giorni.

Dove va l’anima quando si dorme?

Secondo le testimonianze degli esoteristi, ogni notte nel sonno si verifica una separazione dell’Io della persona addormentata e della sua componente astrale, mentre il suo corpo fisico che rimane nel letto può continuare a vivere perché resterebbe avvolto da quello eterico, responsabile delle funzioni vitali.

Perché le bare vengono sigillate?

ADUC – Articolo – Bara? Sarcofago? Cremazione? Come rendere la tua morte più rispettosa dell’ambiente Bara? Sarcofago? Cremazione? Come rendere la tua morte più rispettosa dell’ambiente Articolo di 31 ottobre 2022 8:25 Cosa Succede Dopo La Morte Siamo tutti d’accordo che gli esseri umani devono ridurre il loro impatto sull’ambiente. E mentre la maggior parte di noi pensa a questo in termini di attività quotidiane – come mangiare meno carne o essere prudenti con l’acqua – questa responsabilità in realtà si estende oltre la vita e fino alla morte.

La popolazione mondiale si sta avvicinando a otto miliardi e la quantità di terra disponibile per la sepoltura umana si sta esaurendo, soprattutto nei paesi piccoli e densamente popolati. Per ridurre al minimo l’impatto ambientale, i corpi umani dovrebbero tornare alla natura il più rapidamente possibile.

Ma il tasso di decadimento in alcuni dei metodi di smaltimento tradizionali più comuni è molto lento. Possono essere necessari diversi decenni prima che un corpo si decomponga.

, il nostro team ha analizzato 408 corpi umani riesumati da fosse e tombe di pietra nel nord Italia per scoprire quali condizioni aiutano ad accelerare il decadimento. Il costo ambientale delle sepolture tradizionali Cosa porta a una decomposizione più rapida? Una nuova opzione più verde (Paola Magni – Senior Lecturer in Forensic Science, Murdoch University -, Edda Guareschi – Adjunct Lecturer in Forensic Sciences, Murdoch University – su The Conversation del 28/10/2022)

I rituali funebri dovrebbero rispettare i morti, chiudere le famiglie e promuovere il raggiungimento dell’aldilà secondo le credenze delle persone. Questo sembra diverso per persone diverse. Sebbene la chiesa cattolica abbia consentito la cremazione dal 1963, preferisce ancora le sepolture.

I musulmani dovrebbero sempre essere sepolti, mentre la maggior parte degli indù viene cremata. In Australia, invece, l’ultimo censimento ha rivelato che quasi il 40% della popolazione si identifica come “non religioso”. Questo apre più strade su come gestire i corpi delle persone dopo la morte. La maggior parte delle pratiche di sepoltura tradizionali nei paesi industrializzati ha diversi effetti dannosi di lunga durata sull’ambiente.

I frammenti di legno e metallo nelle bare e nei sarcofagi rimangono nel terreno, rilasciando sostanze chimiche nocive attraverso vernici, conservanti e leghe. Anche le sostanze chimiche utilizzate per l’imbalsamazione rimangono nel terreno e possono contaminare il suolo e i corsi d’acqua.

La cremazione ha anche una grande impronta di carbonio. Richiede molti alberi come combustibile e produce milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, oltre a composti volatili tossici. Ci sono diverse alternative alle sepolture tradizionali. Queste includono “cremazione dell’acqua” o “risomation” (in cui il corpo viene rapidamente dissolto), compostaggio umano, mummificazione, crionica (congelamento e conservazione), sepolture spaziali e persino trasformare il corpo in alberi o le ceneri in diamanti o dischi in vinile.

Tuttavia, molte di queste alternative sono illegali, non disponibili, costose o non allineate con le convinzioni delle persone. La stragrande maggioranza sceglie le sepolture della bara e tutti i paesi accettano questo metodo. Quindi la questione delle sepolture sostenibili si riduce alla scelta tra le tante tipologie di bare disponibili.

  1. Le bare vanno dalle tradizionali di legno, a quelle di cartone, alle naturali fatte di salice, foglia di banana o bambù, che si decompongono più velocemente.
  2. La scelta più ecosostenibile è quella che consente al corpo di decomporsi e ridursi a uno scheletro rapidamente, possibilmente in pochi anni.
  3. La nostra ricerca ha presentato tre risultati chiave sulle condizioni che promuovono la scheletrizzazione dei corpi umani.

In primo luogo, ha confermato che i corpi smaltiti in tombe tradizionalmente sigillate (in cui una bara è collocata all’interno di uno spazio di pietra) possono richiedere più di 40 anni per divenire scheletri. In queste tombe sigillate, i batteri consumano rapidamente l’ossigeno nello spazio di pietra in cui è collocata la bara.

Questo crea un microambiente che favorisce una conservazione quasi indefinita del corpo. Abbiamo anche riscontrato che cimiteri con un’alta percentuale di sabbia e ghiaia nel terreno favoriscono la decomposizione e la scheletrizzazione dei corpi in meno di dieci anni, anche se si trovano in una bara.

Questo perché questa composizione del suolo consente una maggiore circolazione dell’aria e della microfauna e un ampio drenaggio dell’acqua, tutti elementi utili per il degrado della materia organica. Infine, la nostra ricerca ha confermato i precedenti sospetti sulla lenta decomposizione dei corpi sepolti.

  1. Abbiamo scoperto che collocare i corpi all’interno di tombe di pietra, o coprirli con una lastra di pietra a terra, aiuta nella formazione della cera di cadavere (o “adipocere”).
  2. Questa sostanza è il risultato finale di diverse reazioni chimiche attraverso le quali i tessuti adiposi (grassi) del corpo si trasformano in una sostanza “saponata” molto resistente a un’ulteriore degradazione.

Avere la cera di cadavere rallenta (se non arresta completamente) il processo di decomposizione. Nella ricerca di soluzioni funerarie innovative, abbiamo avuto l’opportunità di sperimentare un nuovo tipo di smaltimento del corpo in una tomba chiamata “tomba aerata”.

  • Negli ultimi 20 anni sono state sviluppate tombe aerate in diversi Paesi europei tra cui Francia, Spagna e Italia (dove sono stati commercializzati).
  • Consentono un’abbondante ventilazione, che a sua volta consente una decomposizione dei corpi più igienica e più rapida rispetto alle tombe tradizionali.
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Hanno alcune caratteristiche degne di nota: – un filtro a carboni attivi purifica i gas – i fluidi vengono assorbiti da due distinte polveri biodegradabili, una posta sul fondo della bara e l’altra in un vassoio di raccolta sotto di essa – una volta che il corpo si è decomposto, i resti scheletrici possono essere spostati in un ossario (un sito in cui sono conservati i resti scheletrici), mentre la tomba può essere smantellata e la maggior parte dei suoi componenti potenzialmente riciclati.

  1. Le tombe aerate sono anche più economiche delle tombe ordinarie e possono essere costruite da tombe esistenti.
  2. Sarebbero semplici da usare e mediamente conformi agli standard di salute e igiene pubblica.
  3. La maggior parte di noi non passa molto tempo a pensare a cosa accadrà al nostro corpo dopo la morte.

Forse dovremmo. Alla fine questa potrebbe essere una delle nostre ultime decisioni più importanti, le cui implicazioni si estendono al nostro prezioso pianeta. CHI PAGA ADUC l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille) La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile Pubblicato in: : ADUC – Articolo – Bara? Sarcofago? Cremazione? Come rendere la tua morte più rispettosa dell’ambiente

Quanto rimane acceso il cervello dopo la morte?

Morte cerebrale, dopo quanti minuti? – Nessuno sa, ma alcuni studi scientifici sostengono che il cervello si spegne nel momento in cui il cuore si ferma e quindi finisce di pompare sangue e ossigeno in testa. Il cervello quindi resterebbe attivo per 20-30 secondi massimo dopo che il cuore si è fermato ma la corteccia cerebrale (la cosiddetta “parte pensante”) non muore subito, ma continua a rallentare la sua attività in modo costante, e le cellule cerebrali possono addirittura rimanere attive per qualche ora.

Secondo questi studi quindi, una persona che è appena morta potrebbe in qualche modo essere ancora consapevole e capire quello che sta accadendo attorno mentre i medici la dichiarano morta. Capire se, e per quanto tempo, il cervello di una persona in arresto cardiaco resta attivo potrebbe essere utile anche per migliorare la rianimazione e prevenire le lesioni cerebrali mentre si tenta di riavviare il cuore del paziente.

Altre ricerche spostano invece la completa morte del cervello ancora più avanti. Secondo alcuni scienziati quando il cuore si ferma il cervello può continuare la sua attività addirittura per tre ore. Questo però non vuol dire che il paziente sia consapevole.

Secondo la ricerca infatti pare che anche se il cervello non è più fisiologicamente vivente, in realtà sarebbe un cervello attivo a livello molecolare e cellulare, cioè ancora in grado di ripristinare la funzione neuronale e la circolazione sanguigna anche a distanza di tempo da un arresto cardiocircolatorio.

È un’assoluta novità che stravolge l’idea comune che il processo di morte del cervello sia rapido e irreversibile. La scomparsa dei segni di consapevolezza (che avviene circa 30 secondi dopo l’arresto cardiaco) e l’interruzione dell’attività elettrica, sono segni della morte del cervello ma questo studio dimostra che il cervello può avere una certa vitalità residua per poche ore dopo la morte.

  • Attenzione però.
  • Rilevare attività elettrica al livello del cervello non vuole assolutamente dire che il cervello abbia ancora coscienza.
  • I segnali elettrici riconosciuti dai ricercatori infatti non possono essere ricondotti a normale attività cerebrale e sarebbe escluso che dopo ore dall’arresto cardiaco si possa riportare a coscienza qualcuno che è clinicamente morto.

Certamente c’è ancora tanto da studiare, e la ricerca sul cervello andrà avanti per capire esattamente cosa succede all’encefalo dopo la morte. Al momento, anche se è chiaro che una certa attività persiste pure dopo l’arresto cardiaco, non è chiaro se possano essere possibili flussi di pensiero dopo che il cuore ha smesso di battere.

Come si chiama l’ultimo respiro prima di morire?

Questo fenomeno è noto come respirazione Cheyne-Stokes ed è molto comune in fin di vita. La maggior parte degli assistenti sanitari e dei familiari vogliono sapere esattamente per quanto tempo vivrà la persona.

Come è fatta la morte?

Conseguenze biologiche – Dopo la morte nel cadavere si verifica tutta una serie di trasformazioni: prima si verifica l’ algor mortis (raffreddamento del cadavere), poi il rigor mortis (rigidità cadaverica) e, infine, il livor mortis (ristagno e coagulazione del sangue).

Cosa succede agli occhi dopo la morte?

Quando sopraggiunge la morte, è più probabile che gli occhi siano aperti o chiusi? Dipende. Se la morte è violenta o improvvisa, è più probabile che gli occhi siano aperti; se invece parliamo di malattie terminali è vero il contrario, cioè che il moribondo si prepari alla sua dipartita abbassando le palpebre.

Che provoca la morte?

Letalis], lett. – 1. ≈ fatale, mortale,

Come reagisce il cervello alla morte?

In un esperimento descritto su Nature, un gruppo di neuroscienziati dell’Università di Yale ha ripristinato parte delle funzioni circolatorie e cellulari di un cervello di maiale, a quattro ore dal decesso dell’animale. La ricerca apre nuovi spunti di riflessione sui tempi entro i quali il cervello smette di funzionare dopo la morte, e sull’irreversibilità di questo “spegnimento”.

La morte cellulare è considerata un processo repentino e irreversibile che inizia non appena il cervello rimane senza riserve di sangue e di ossigeno. Entro pochi secondi cessano l’attività elettrica e ogni cenno di coscienza, entro pochi minuti vengono meno le riserve di energia residua, mentre inizia una catena di reazioni molecolari che portano alla morte cellulare e alla degenerazione dei tessuti.

Sospetti confermati. Nonostante quanto suggerito dalla letteratura scientifica, i ricercatori del laboratorio di Nenad Sestan, neuroscienziato di Yale, avevano più volte notato segni di possibile sopravvivenza cellulare in alcuni campioni di tessuto cerebrale studiati per altre ricerche. Utilità scientifica. La nuova piattaforma di ricerca così ottenuta, ribattezzata BrainEx, potrebbe servire in futuro a risolvere un problema importante, per la ricerca neuroscientifica di base: l’impossibilità, allo stato attuale delle cose, di studiare il cervello nella sua integrità dopo la morte.

Finora, le cellule cerebrali sono state studiate per lo più in contesti bidimensionali, a piccoli gruppi e isolate dal tessuto originale, una circostanza che non permette di compiere osservazioni dettagliate e rigorose sull’origine di alcune malattie cerebrali né sulla connettività cerebrale. Nessun segno di coscienza.

Non sembra invece esserci alcuna immediata applicazione clinica. Nel cervello trattato non sono stati osservati segnali elettrici riconducibili a una normale funzione cerebrale, e il ripristino della coscienza non è del resto mai stato lo scopo dei ricercatori.

Il team era anzi pronto a intervenire con anestetici e sistemi di raffreddamento della temperatura nel caso fossero emersi segnali di una attività elettrica organizzata – uno scenario che avrebbe varcato importanti limiti etici. Lontano dall’uomo. Inoltre, non è chiaro se lo stesso approccio possa essere esteso a un cervello umano recentemente deceduto.

Nella soluzione chimica utilizzata mancano molte componenti necessarie che si trovano nel sangue umano, come le cellule immunitarie e altre cellule del sangue: la piattaforma utilizzata è insomma molto diversa dalle condizioni normali in cui funziona il cervello. Di morte si sente spesso parlare in termini scaramantici, ma poco in modo scientifico. Peccato, perché farlo è consolatorio: dal punto di vista della sopravvivenza della specie, morire è vantaggioso, e necessario per il rinnovamento e l’evoluzione di piante e animali.

Una specie, per avere successo, non ha particolari vantaggi dal mantenere l’assemblaggio di cellule somatiche già in vita. È un processo troppo costoso: meglio investire in organismi nuovi di zecca. Se passate un’analogia, è come investire in un’auto nuova anziché provare a riparare la stessa vettura già acciaccata.

Morire permette una continua evoluzione, l’eternità invece immobilizza. Dato che il tema è così importante, proviamo ora a rompere qualche tabù con 12 curiosità scientifiche sul morire, Foto: © Shutterstock La causa ultima è sempre la stessa. A prescindere dal motivo della morte, l’input finale al morire viene, in ogni caso, dalla mancanza di ossigeno. Una respirazione sempre più intermittente e superficiale, spesso accompagnata da spasmi muscolari, è tra le principali caratteristiche della fase agonica, dal termine greco agonia, che significa “lotta”. Foto: © Wikimedia Commons Quanti ci sono passati. Ogni minuto nel mondo muoiono 108 persone; ogni anno, se ne vanno 55,3 milioni di terrestri, principalmente per ictus e ischemie cardiache. Fino al 2011 avevano vissuto sulla Terra, e dunque erano morte, 108 miliardi di persone. Che cosa succede “dopo”. Dal momento in cui il cuore cessa di battere, si interrompe la produzione di calore dell’organismo e la temperatura corporea cala in media di 0,83 °C ogni ora, fino a raggiungere un equilibrio con quella ambientale. Questa fase è detta algor mortis (un termine latino che significa “algidità cadaverica”).

Il rigor mortis, l’irrigidimento del cadavere dovuto a reazioni biochimiche nei muscoli, inizia tra le due e le sei ore dopo il decesso. Non tutto, in questo momento è già morto: le cellule della pelle possono essere raccolte da un cadavere entro le prime 24 ore dal decesso. E anche nell’intestino ci sono ancora segni di vita.

Leggi anche: Come si fa un’autopsia? Foto: © Shutterstock Da digerenti a digeriti. A partire da tre giorni dal decesso, i batteri intestinali e gli enzimi che un tempo digerivano la nostra cena iniziano a smaltire le cellule morenti dei vari organi interni. Mano a mano che questi microrganismi si fanno largo nel corpo dell’ospite, il cadavere cambia colore e diventa prima verde, poi violaceo e infine nero.

I batteri producono una grande quantità di gas che gonfia il cadavere, specialmente nella regione addominale. Lo stesso gas produce un odore nauseabondo, i famosi “fuochi fatui” nei cimiteri e cambiamenti visibili nel corpo (occhi fuori dalle orbite, lingua protrusa) che un tempo alimentavano leggende e superstizioni.

Dopo una settimana la pelle è sollevata in bolle e basterebbe un semplice tocco per farla sbriciolare. Non è vero che in questo periodo unghie e capelli continuano a crescere: è un’illusione dovuta alla pelle che si ritira. Foto: © Shutterstock Moriamo ancora prima di nascere. Affinché gli organi si possano correttamente differenziare durante lo sviluppo embrionale, alcune cellule devono commettere una sorta di suicidio programmato. Se questo processo non avvenisse, per esempio, nasceremmo con i piedi palmati, come le anatre. Sepolti vivi. Prima dell’invenzione dello stetoscopio (nella prima metà dell’Ottocento), la sepoltura anzitempo era un problema non così infrequente, come appare dalle disposizioni testamentarie lasciate da molti nella seconda metà del Seicento: si chiedeva che il cadavere fosse tenuto in osservazione per tre giorni.

Tra gli altri accorgimenti per capire se fosse davvero giunta l’ora, c’erano il classico specchio posto vicino alla bocca (per vedere se si appannava), il bicchiere pieno d’acqua posto sul torace (per vedere se si muoveva), o un campanello nella bara da agitare all’eventuale risveglio. Nell’Europa del XIX secolo esistevano ancora gli “ospedali per i morti”, dove gli infermieri controllavano i corpi in attesa di segni di putrefazione.

Foto: © Shutterstock Inquiniamo anche da morti. Soltanto negli Stati Uniti, le sepolture depositano nel suolo oltre 3 milioni di litri all’anno di sostanze usate nel trattamento del cadavere (come formaldeide, etanolo, metanolo). In Italia, se ne vanno ogni anno 50 km quadrati di bosco per ottenere bare di legno che, una volta inumate, inquinano terreno e falde acquifere con lacche e vernici.

Non va meglio con la cremazione che, se risparmia la terra, rilascia però in atmosfera diossine, acido cloridrico, diossido di zolfo e anidride carbonica. Per questo sono sempre più diffuse forme di sepoltura ecologiche, che prevedono di seppellire il corpo in materiali biodegradabili, che diventino poi concimi per alberi.

La California ha di recente approvato la cremazione ad acqua, in cui corpo è disciolto in una soluzione alcalina (senza emissioni nocive). Foto: © Shutterstock Alcuni geni si attivano ancora di più, dopo la morte. Dopo il decesso, centinaia di geni “non morti” intensificano la loro attività per alcuni giorni, per poi “spegnersi” del tutto. Alcuni si risvegliano perché quelli che ne controllano l’attività hanno smesso di funzionare.

Altri si danno da fare per gestire l’emergenza: generano infiammazioni, gestiscono lo stress cellulare, provano a chiamare a raccolta il sistema immunitario. Particolarmente attivi risultano alcuni geni che innescano il cancro: un fatto che potrebbe spiegare perché chi ha appena subito un trapianto di organi da un deceduto sia più suscettibile a tumori.

Foto: © Shutterstock Adv I criteri per stabilirla sono cambiati. Se un tempo la morte veniva attestata dalla cessazione del battito cardiaco, lo sviluppo delle tecniche di rianimazione e dei trapianti ha imposto di modificare le regole. Le tappe che la determinano sono fenomeni facilmente individuabili come l’arresto del battito cardiaco e della respirazione, ma anche eventi che solo le macchine riescono a cogliere, come la cessazione dell’attività elettrica del cervello.

La morte cerebrale viene diagnosticata se il cuore non batte per almeno 20 minuti e si è quindi certi che i danni al cervello sono irreversibili, oppure se l’elettro-encefalogramma è piatto per almeno 6 ore (può accadere alle persone in rianimazione, quando la respirazione e l’attività del cuore sono possibili solo grazie alle macchine).

Quest’ultimo è un criterio più sicuro per stabilire una diagnosi di morte, dato che dalla morte cerebrale mai nessuno è tornato indietro. Foto: © Shutterstock Nella morte si “scivola” per fasi. È piuttosto recente la notizia di un paziente terminale canadese nel quale l’attività cerebrale è proseguita per 10 minuti e 38 secondi dalla dichiarata morte clinica (cioè dall’arresto irreversibile dell’attività cardiocircolatoria).

Un fatto decisamente inedito: mentre il cuore può continuare a battere anche dopo la morte cerebrale, mai si era visto un cervello attivo fino a oltre 10 minuti dalla cessazione del battito cardiaco – e, con esso, del flusso sanguigno in entrata. Questa esperienza è ancora una volta la conferma del fatto che la morte è un’esperienza estremamente complessa e suggestiva, nella quale si entra per gradini successivi, più che con un balzo deciso.

Foto: © Shutterstock Le esperienze pre-morte sono più frequenti di quanto si creda. Il 10-20% delle persone che si risveglia dopo un arresto cardiaco riferisce di averle provate, e si tratta quasi sempre di sensazioni piacevoli. Qualche anno fa in uno studio olandese pubblicato su Lancet, alcuni ricercatori hanno intervistato chi era “tornato indietro”.

Più della metà dei pazienti ha riportato sensazioni piacevoli – e non paura di morire – un terzo ha detto di aver percorso un tunnel, aver visto paesaggi celestiali e aver incontrato i parenti morti; 1 su 4 ha sentito che si stava staccando dal corpo e ha visto luci intense e colori. Altri hanno ripercorso episodi della propria vita e sentito di oltrepassare un confine invalicabile.

Nei giovani queste sensazioni sono state più frequenti, nelle donne più intense. Foto: © Shutterstock Adv C’è una ragione scientifica al “vedere la luce”. Le esperienze riferite dai pazienti potrebbero essere legate a nozioni che avevano appreso in precedenza (come i racconti di chi ci era passato), ma anche da alcune sensazioni sensoriali sopravvissute allo stato di incoscienza.

Le visioni pre-morte potrebbero anche essere legate alla diminuzione della concentrazione di ossigeno nel cervello causata dall’arresto cardiaco. Un qualche meccanismo neurologico come un picco di attività elettrica della corteccia cerebrale potrebbe spiegare alcune di queste esperienze, per esempio quella di vedere l’intera vita passare davanti agli occhi, come in un film.

Foto: © Shutterstock Approfondimenti Cosa Succede Dopo La Morte

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Quali sono i punti mortali?

Tre secondi e il nemico è morto! Il coltello militare da combattimento Doge 107, della categoria Combat-Survival Knife, studiato e creato per i corpi speciali dal progettista Sandro Martinelli, è la sintesi perfetta di un’arma letale e di quanto serva in una azione reale.

Nei combattimenti non esistono seconde opportunità risolutive e il momento buono è uno solo e irripetibile. Mancandolo si metterebbe a rischio la propria incolumità e la missione stessa. Secondo Martinelli, valente oplologo (studioso delle armi), ” Qualsiasi coltello è una arma letale e nell’ambito militare deve possedere specifiche tecniche ed ergonomiche adeguate al combattimento e alla sopravvivenza.

Il percorso che serve ad ideare, progettare, testare e produrre un coltello da combattimento è molto lungo e nulla nasce a caso e tutto viene studiato nei minimi particolari “. Difesa Online raccolta come e perché si è arrivati a concepire il prototipo del Doge 107.

Scelta del nome Doge 107 incarna perfettamente lo spirito del combattente già dal nome, in quanto “Doge” in veneziano significa anche comandante, soprannome dello scomparso luogotenente Francesco Finzi, considerato dai Lagunari di Venezia come il più bravo formatore ed istruttore di sopravvivenza degli esploratori di sempre.107 è il codice che distingue gli esploratori anfibi col basco verde.

In questo caso il progettista rende così onore e omaggio al suo maestro. Inquadrare le priorità d’uso La vasta esperienza marziale e militare del progettista, istruttore qualificato di FISFO, Kali Eskrima, Tradizione Militare Italiana (Arditi), Modern Arnis, esploratore dei Lagunari ed istruttore degli stessi per tre anni, ha influito notevolmente sul prodotto finale.

I parametri valutati sono spaziati dalla velocità di estrazione alla letalità in termini di tempo. Un lavoro di ricerca e analisi durato due anni con molti scambi di opinione col Gran Master Bram Frank (molto conosciuto dagli specialisti militari di coltello americani ed israeliani). Tutto ha portato il progettista ad indirizzarsi verso un coltello dal doppio impiego, perché i corpi speciali hanno bisogno di un coltello da combattimento puro ma che garantisca anche la sopravvivenza.

Difficoltà dell’operatore delle forze speciali Attaccare su pochi punti scoperti senza errori, perché strumentazioni, body armour e armi riducono le aree da colpire. Dunque, il coltello deve essere sufficientemente duro da non spezzarsi o danneggiarsi nell’eventuale impatto con una piastra balistica del giubbotto antiproiettile o altro, ossa comprese, ma non troppo duro perché deve permettere una certa morbidezza nelle parate per assorbire gli impatti.

  • Deve inoltre essere antiriflesso e di facile recupero.
  • Secondo il progettista: ” E’ principalmente uno strumento letale, sempre e comunque, e solo in subordine di sopravvivenza”,
  • L’operatore delle forze speciali in azione ha pochi secondi utili e richiede armi affidabili.
  • In sopravvivenza il pugnale viene affilato in velocità sui sassi del posto.

Tutto questo è cruciale! Letale in tre secondi Con un solo colpo, ben indirizzato e nel posto giusto, in tre secondi si muore! Secondo il maggiore W.E. Fairbairn, che ha studiato a fondo il problema (vedere sintesi tabella libro ” Get Tough “, edizione dl 1943) ci sono vari punti dove colpire.

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In pratica, molti punti sono coperti da strumenti e body armour : punti 4, 5 e 6, che corrispondono alla subclavicolare (perdita di coscienza in 2″ e morte i 3″ e mezzo), al cuore e allo stomaco: letali in 3 secondi. La copertura crea notevoli problemi perché viene a mancare il fattore chiave: morte in 3″.

Si può colpire alla subclavicolare pur essendo in presenza del giubbotto antiproiettile, ma agendo da dietro ed entrando dal colletto con assoluta precisione. Gli altri punti sono l’arteria brachiale che garantisce la perdita di coscienza in 14 secondi e la morte in 1’30”; l’arteria radiale porta alla perdita di coscienza in 30″, alla morte in 2′; infine la carotide in 5″ per perdere i sensi e 12″ alla morte.

Tempi troppo lunghi! Così l’operatore delle forze speciali si troverebbe troppo esposto e non avrebbe nessuna garanzia che l’avversario non possa emettere rumori o segnalare l’avvenuto attacco. Esistono altri punti come l’aorta femorale, il cervelletto, l’occhio, ma ai fini dell’agguato o del combattimento non sono assolutamente pratici da colpire per vari motivi.

Quale tipo di ferita? Secondo il manuale della Polizia scientifica, di Rocco Paceri -Terza edizione riveduta e corretta da Salvatore Montanaro- le ferite incise o da lama sono quelle prodotte dal taglio netto ben definito. Possono ledere soltanto l’epidermide, ma spesso arrivano fino al derma oppure al sottocutaneo raggiungendo anche gli organi sottostanti. Analizzando altra documentazione e nello specifico solo la ferita da taglio, essa interessa cute e sottocute, e solo eccezionalmente gli organi interni in profondità. Tre tipi di ferite: lineari, a lembo e mutilanti. Le prime due tagliano i tessuti, mentre il terzo tipo amputa il nemico solo con diametri ridotti (es.

  1. Naso e dita).
  2. Il taglio crea dunque una lesione più o meno larga e la stessa può variare con l’inclinazione dell’impatto della lama con la pelle.
  3. Il taglio generato su una superficie piana viene chiamato “codetta” ed è più profondo e deciso in entrata che a fine corsa.
  4. Ma se il taglio viene fatto su una superficie curva si produce “l’inversione delle codette” con la ferita interna più profonda a fine corsa che non all’inizio.

Di questo aspetto bisogna tenerne conto soprattutto nei colpi al collo perché questo si spiega con l’angolo d’impatto della lama, che si trova in posizione tangenziale, rispetto alla pelle. Secondo questo principio l’area più indicata in azione, e facile, è il collo: vi passano strutture vascolari importantissime come l’arteria carotide, la vena giugulare, il nervo vago, la laringe, la trachea in ultima i corpi cerebrali.

Un taglio in questa area porta anche alla morte per annegamento interno da sangue per occlusione delle vie respiratorie. Tali ferite vengono chiamate da scannamento e se interessano anche la trachea impediscono che la vittima emetta suoni o lamenti. Nel caso dei polsi, per quanto si tenda a pensare il contrario, la ferita mortale con shock emorragico-ipovolemico è rara, perché l’arteria radiale è in profondità e non facilmente raggiungibile.

I polsi vengono tagliati per recidere i tendini dei muscoli flessori, in modo da disarmare ed impedire di proseguire il combattimento con l’arma in pugno. Le lesioni da punta e taglio bitagliente sono indirizzate in profondità piuttosto che in superficie.

trazione delle fibre elastiche e intracorporee con la parziale o totale entrata della lama; possibili ulteriori danni da extrarotazione in fase di estrazione della lama dovuti ai muscoli flessori (bicipite-brachiale) del braccio.

In azione col coltello la parte vitale più indicata è l’area in alto a sinistra del tronco: cuore e aorta. Ma sono protetti dalle costole e dallo sterno e raggiungerli richiede una particolare abilità tecnica perché al momento della puntata si deve ruotare la mano e portare il filo e la costa orizzontali al terreno così da passare tra le costole e raggiungere gli obiettivi. Acciaio, lama, impugnatura e cambio di attacco Secondo la filosofia di progettazione del Doge 107, la lama, che è la parte deputata all’offesa o al lavoro, (si divide in terzo prossimale, che possiamo definire “forte” in quanto vicino al manico, in terzo mediano, ovvero la parte centrale del coltello e in terzo distale o “debole” che si riferisce alla punta) è in acciaio 440C con durezza (Rockwell) HR 57/58.

Si può affilare con pietra bagnata in velocità nei teatri operativi. Mentre l’angolo di affilatura è 19°. Il coltello rientra nella categoria pugnali perché lungo 27,4 cm in totale e suddiviso in 15 cm lama, 4 mm guardia,12 cm manico. Peso 305 gr. Sopra i 35 cm diventerebbe daga. A protezione della mano c’è la guardia con il braccio di guardia ( forward quillon) dalla parte del filo; e il braccio di parata ( rear quillon) dalla parte della costa.

Quest’ultimo spostato in avanti per un maggior controllo e comodità al pollice. La guardia deve assorbire e frenare “impastando” la lama avversaria, evitando così scivolate o salti. Per questa ragione viene usato un acciaio più morbido. Il progettista ha dato più importanza ai colpi di punta perché l’esperienza degli Arditi fornisce da sola la spiegazione alla forma della punta a lancia ( Spear Point ) che ha il profilo ogivale spinto e l’apice un po’ sopra il centro del bisello, pertanto è una variante perfetta per le forze speciali.

La punta è robusta per tutti i tipi di puntate eseguite impugnando il pugnale alla maniera Ice Pick Hold, Oriental Hold, Straingh Hold, Slash Hold, Il bisello (bevel) è concavo e all’incontro dei due forma il filo di taglio. Appena sopra la metà del bisello si può notare una interessante spina (spine) o arista o nervo di rinforzo.

Lo spessore massimo è 4,5 mm. Nella parte superiore si vede il dorso (spine o back) che per metà della lunghezza è ad angoli vivi di 90°, utilissimi alla sopravvivenza per la creazione delle scintille. L’altra metà è a mezzo filo, utile al combattimento nel passaggio tra i vari angoli di attacco e nelle puntate perché penetra con più facilità.

  1. Degno di nota osservare che il terzo distale e il terzo prossimale superiore e inferiore della lama hanno accavallato il terzo mediano.
  2. Il controtaglio ( False Edge) situato nel terzo distale è stato ricavato dalla costa con una sfrondatura in maniera da aumentare le possibilità di taglio nella extrarotazione corporea.

Cosa invece che un falso taglio, ( Swdge ), non avrebbe garantito. La parte inferiore è a filo taglio combinato (C ombo Edge ). Anche in questo caso i terzi sono stati accavallati diventando metà a filo piano (C utting Edge ) e l’altra metà a filo seghettato (S errated Edge ) ad arco. Il bilanciamento del pugnale si trova spostato verso il manico per consentire maggiore roteabilità in azione. L’impugnatura ( Grip ) è composta da due guancette in G10 o in micarta fissate al codolo integrale (codolo passante) da due rivetti. Ad esempio, la scelta del micarta, materiale di resine fenoliche e strati di tessuto o carta è adatto allo scopo perché resiste agli urti ed è anticorrosivo.

  1. Il manico ergonomico ha un accenno particolare dove posiziona l’indice, al fine di migliorare la presa soprattutto in estrazione.
  2. Alla fine del manico si trova il rompi testa allargato (S kull Crusher ) con l’occhiello per la dragona (L anyard Hole o T hong Hole) per assicurare l’impugnatura alla mano.

Il problema dell’estrazione dal corpo Quando si pugnala in profondità una persona si penetra dai 3 ai 5 cm tra pelle, grasso e muscolo. Una volta passati oltre questa soglia critica, si incorre nell’effetto ventosa e il recupero del coltello diventa difficoltoso. Trattando la lama con lo speciale film si aumenta la scorrevolezza superficiale. Pertanto ha optato per uno strato di 0,010 mm di KG Gun-Kote che non solo è protettivo alla corrosione e all’usura, ma ha una notevole componente di teflon (PTFE). In questa maniera il pugnale diventa antiriflesso, resistente all’usura e scorrevole.

  1. Basti pensare che il sottilissimo strato resiste a 1000 ore di nebbia salina, a 1000 ore in immersione in acqua a 37°C e a 60 giorni di immersione in acqua di mare.
  2. Ha la rottura termica a 500°.
  3. Realizzazione del prototipo e test reali Il prototipo ( custom ) è stato realizzato artigianalmente coinvolgendo due maestri coltellinai: Stefano Trentini per il prototipo acciaio lucido; Riccardo Caregnato per quello teflonato.

Il risultato della loro opera artigianale è stato poi testato per tre mesi dal maggiore Vito Pansini dei Lagunari di Venezia. Un collaudo vero ed importante per lo stress dei materiali usati. Per quanto riguarda la parte del taglio della carne, tendini, ossa, arterie ed “effetto ventosa” il progettista ha utilizzato degli scarti di produzione di un amico macellaio.

Chi accerta la morte?

Accertamento della realtà della morte, secondo la scienza medica va effettuato verificando i parametri tanatologici consecutivi. Tale compito è affidato al medico ospedaliero a ciò delegato o, fuori dell’ospedale, al medico necroscopo.

Quando si dichiara la morte?

Quando si verifica un lutto, è obbligatorio dichiarare la morte al Comune dove si è verificato l’evento presentando la dichiarazione di morte entro 24 ore dal decesso.

Quando si fa l’atto di morte?

Quando il luogo del decesso non è identificabile con certezza, l’atto di morte sarà redatto dall’ufficiale di stato civile del comune in cui il cadavere è stato deposto.

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