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Deltacortene A Cosa Serve?

Per cosa si usa il Deltacortene?

I farmaci anti-infiammatori riducono il dolore, il gonfiore, la rigidità, il rossore ed il calore nei tessuti colpiti. Per queste proprietà DELTACORTENE è usato: in aggiunta ad altri medicinali, nel trattamento di malattie reumatiche (per es.

Quando è meglio prendere il Deltacortene?

Ultima modifica 30.11.2021 Cos’è il cortisone? Cortisone è un termine che nel linguaggio comune viene in genere usato per indicare un insieme di farmaci, anche se in realtà in campo medico e chimico indica una precisa molecola che viene anche prodotta dall’organismo, oltre ad essere usata come medicinale.

antinfiammatorio, antiallergico e immunosoppressore : Le infiammazioni sono la risposta dell’organismo a un danno dell’organismo, ma in alcuni casi ci troviamo di fronte a reazioni immotivate e/o esagerate. I cortisonici sono capaci di una spiccata azione antinfiammatoria, che deriva anche da una soppressione del sistema immunitario, sfruttata ad esempio per malattie

reumatiche: infiammazioni muscolo-articolari ( artrosi, tendinite, borsite, gotta,,) respiratorie: asma bronchiale, polmonite, tubercolosi,, della pelle: eczema, psoriasi, orticaria, sarcoidosi,, digestive: morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa,, endocrine: tiroidite,, dell’occhio: cheratite, ulcerazioni,, autoimmuni: artrite reumatoide,, allergiche: allergie stagionali, dermatite allergica,,

terapia sostitutiva : nei pazienti in cui la produzione da parte dell’organismo sia ridotta (ad esempio nel caso del morbo di Addison ) trapianto d’organo, per ridurre il rischio di rigetto (viene sfruttato l’effetto di depressione del sistema immunitario.

Quando è meglio prendere cortisone? A differenza di quanto si pensa i cortisonici non predispongono allo sviluppo di ulcera gastrica e non richiedono gastroprotezione, tuttavia in genere si consiglia l’assunzione dopo un pasto per ridurre il rischio di effetti collaterali gastrointestinali (tipicamente al mattino dopo la colazione in caso di monosomministrazione).

Quanto impiega a fare effetto? Dipende dalle patologie, ma è in genere molto veloce; ad esempio in caso di reazione allergica poche ore per dare sollievo al prurito (anche meno se iniettato), qualche giorno nel caso di malattia reumatiche infiammatorie caratterizzate da forte dolore. Quanto tempo dura? Dipende dal tipo di somministrazione, dalla dose e dalla molecola usata.

Cosa succede quando si smette di prendere? In caso di assunzione locale (ad esempio spray nasale) in genere non ci sono rischi alla sospensione, così come per terapie sistemiche (ad esempio per bocca) limitate a pochi giorni. Nel caso di terapie sistemiche di lunga durata è necessario scalare gradualmente per ridurre il rischio di sviluppare la sindrome da sospensione, caratterizzata da calo dell’appetito, nausea, vomito, stanchezza, dolori articolari e muscolari, mal di testa, perdita di peso, depressione, sonnolenza.

ritenzione idrica (accumulo di liquidi), mobilizzazione dei grassi, che vengono redistribuiti nell’organismo (in seguito a variazioni del metabolismo di proteine, glucidi e grassi).

Chi prende cortisone è immunodepresso? In caso di assunzione sistemica, ad esempio per bocca, e per lunghi periodi sì, può vedere le proprie difese immunitarie indebolite. Quanto prenderne? La dose viene quasi sempre personalizzata dal medico, in base a valutazioni relative a:

età (i bambini assumono proporzionalmente dosi maggiori) peso gravità dei sintomi rischio di effetti indesiderati.

Si noti che i diversi cortisonici manifestano potenza differente, un ulteriore tassello da prendere in considerazione nella pianificazione della terapia. A cosa serve in gravidanza? L’uso più caratteristico è legato alla stimolazione della maturità polmonare del feto nel terzo trimestre, quando ci sia il rischio di parto prematuro.

Quali sono gli effetti collaterali? L’efficacia è in generale molto elevata e, quando usato solo localmente (ad esempio in forma di crema, collirio, supposta, spray nasale o puff) gli effetti collaterali minimi (il principale limite è in questi casi la tolleranza, ossia una riduzione di efficacia se usato cronicamente).

Quando viene invece assunto per via sistemica (per bocca o iniettato) il rischio di effetti indesiderati aumenta soprattutto nel caso di terapia cronica (mentre non sussistono in genere grossi rischi in caso di occasionali e brevi terapie); tra i potenziali effetti collaterali legati all’uso a lungo termine ricordiamo:

nausea, gonfiore, ulcerazioni su esofago e stomaco riduzione delle difese immunitarie verso minacce esterne sviluppo di diabete mellito di tipo 2 ritardo nella guarigione delle ferite aterosclerosi (deposito di placche grasso nei vasi sanguigni) osteoporosi (indebolimento delle ossa) viso tondeggiante e gobba a causa delle ritenzione idrica e della mobilizzazione dei grassi pelle fragile e acne irritabilità ed altre alterazioni dell’umore e del comportamento disturbi della vista ( glaucoma, cataratta,,).

È infine possibile sviluppare

dipendenza e tolleranza al farmaco (necessità di assumerlo per evitare malessere e riduzione dell’efficacia) effetto rebound (peggioramento improvviso dei sintomi alla sospensione).

A cosa serve il cortisone prodotto dall’organismo? Insieme all’adrenalina, i corticosteroidi (ivi compreso il cortisone) sono ormoni prodotti dal corpo in grado di esercitare effetti in qualsiasi distretto dell’organismo; sono prodotti soprattutto in risposta allo stress e, da un punto di vista biologico, sono correlati alla risposta di reazione o fuga.

L’esempio più comune è quello relativo all’uomo primitivo che si trova di fronte ad un animale feroce, dovendo quindi necessariamente scappare o affrontarlo; nella nostra società invece i livelli di cortisone (e del suo principale derivato, il cortisolo) possono aumentare in seguito a stress quali paura, ansia, improvvisi cambi di temperatura, traumi, interventi chirurgici,,

Avendo radici evolutive che poggiano sulla necessità di fuga o combattimento, gli effetti fisiologici sono volti a massimizzare l’efficacia di queste reazioni:

aumento della glicemia (zucchero nel sangue) per fornire energia, aumento della pressione del sangue aumento della frequenza del battito cardiaco aumento della frequenza respiratoria ( tachipnea ) spostamento di parte del sangue da organi digestivi ai muscoli, dilatazione delle pupille, aumento dell’attenzione e dei riflessi,,

A cosa serve Deltacortene 25 mg compresse?

1. CHE COS’E’ DELTACORTENE E A CHE COSA SERVE – A cosa serve Deltacortene? Perchè si usa? Deltacortene è un medicinale in compresse, che contiene il principio attivo prednisone, un ormone sintetico che appartiene al gruppo dei corticosteroidi. I corticosteroidi sono ormoni prodotti dalle ghiandole surrenali che possiedono attività anti-infiammatoria.

Come agisce il cortisone nelle infiammazioni?

Come agiscono e quando si usano i cortisonici – I farmaci antinfiammatori steroidei agiscono bloccando la sintesi delle prostaglandine pro–infiammatorie, responsabili di edema, eritema e, A seconda della loro formulazione, del dosaggio e della via di somministrazione, hanno effetto:

antinfiammatorio analgesico antipiretico

Gli antinfiammatori steroidei hanno un utilizzo più specifico rispetto ai comuni e mentre i FANS possono essere utilizzati in modo occasionale e sporadico, gli antinfiammatori steroidei necessitano invece di essere assunti in maniera regolare e per un periodo più prolungato. Vengono utilizzati in particolar modo:

in caso di infiammazioni croniche in caso di reazione allergica (dall’asma, all’orticaria fino allo shock anafilattico) per malattie autoimmuni (es. o lupus eritematoso) per malattie da in seguito a trapianto, per sopprimere le risposte autoimmuni ed evitare il rigetto dell’organo

Gli effetti collaterali degli antinfiammatori steroidei sono direttamente proporzionali alla durata della terapia. Quelli più frequentemente descritti e riportati in letteratura sono:

aumento di appetito aumento di peso secondario a ritenzione idrica (spesso associato anche a gonfiore ed edema) ulcera peptica iperglicemia (fino al diabete iatrogeno) fragilità capillare accumulo di tessuto adiposo a livello di viso, collo e addome aumento della coagulabilità del sangue

Dove agisce il Deltacortene?

Come agisce Deltacortene® – Deltacortene® viene rapidamente assorbito a livello intestinale; la sua azione antinfiammatoria, che si differenzia da quella dei, agisce bloccando la sintesi di: prostaglandine pro-infiammatorie, che sono le responsabili della regolazione della temperatura corporea, eritema, edema, aumentata sensibilità al dolore e dei leucotrieni pro-infiammatori che determinano la broncocostrizione.

Quanto ci mette il cortisone a sfiammare?

Una singola dose ridotta di corticosteroidi sarebbe sufficiente a ridurre i sintomi del mal di gola, senza produrre gravi effetti collaterali. È la conclusione alla quale è giunto un gruppo di ricercatori canadesi che ha pubblicato una meta-analisi sul British Medical Journal – 05 OTT – (Reuters Health) – Solitamente, paracetamolo e antiinfiammatori non steroidei (FANS) rappresentano lo standard di cura per il mal di gola, mentre a volte possono essere prescritti antibiotici, anche se normalmente il mal di gola dipende da un’infezione virale.

Ma i risultati del trial clinico Treatment Options without Antibiotic for Sore Throat, che avrebbero mostrato una riduzione dei sintomi a 48 ore con una singola dose di desametasone, hanno spinto un gruppo di ricercatori canadesi della McMaster University di Hamilton, in Ontario (Canada), coordinati da Behnam Sadeghirad, a rivedere gli studi pubblicati in letteratura scientifica.

La metanalisi I ricercatori canadesi hanno preso in considerazione dieci trials clinici che includevano, complessivamente, 1.426 pazienti. Quelli trattati con una singola dose ridotta di corticosteroide, solitamente desametasone per via orale massimo 10 mg, avevano una probabilità di 2,2 volte maggiore di avere sollievo dal dolore nelle 24 ore successive al trattamento e di 1,5 volte in più di non avvertire dolore nelle 48 ore dopo.

  1. Chi assumeva corticosteroidi, inoltre, aveva un miglioramento nel dolore 4,8 ore prima, in media, e un sollievo totale dal dolore 11,1 ore prima rispetto a chi non usava corticosteroidi.
  2. Infine, su una scala del dolore da zero a dieci, chi usava cortisone aveva un miglioramento di 1,3 punti nelle 24 ore.

In tre studi che riportavano eventi avversi, la maggior parte era correlata alla malattia del paziente e l’incidenza era comunque simile tra chi assumeva corticosteroidi e placebo. “Con effetti collaterali rari o assenti, l’aggiunta di una o due dosi di steroidi al trattamento del mal di gola potrebbe essere presa in considerazione per molti pazienti”, hanno scritto Sadeghirad e colleghi. Quotidianosanità.it Quotidiano online d’informazione sanitaria. QS Edizioni srl P.I.12298601001 Sede legale: Via Giacomo Peroni, 400 00131 – Roma Sede operativa: Via della Stelletta, 23 00186 – Roma Direttore responsabile Luciano Fassari Direttore editoriale Francesco Maria Avitto Presidente Ernesto Rodriquez

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Cosa non si deve mangiare con il cortisone?

Shutterstock – di Margherita Monfroni Il cortisone è un ormone corticosteroide (appartenente quindi alla classe degli steroidi ) in grado di ridurre la risposta difensiva dell’organismo e alleviare così sintomi come gonfiore e reazioni di tipo allergico.

  • Questo farmaco è utilizzato per trattare condizioni come l’artrite, disturbi ormonali, patologie del sangue e del sistema immunitario, reazioni allergiche, alcune problematiche relative a pelle e occhi, problemi respiratori e alcuni tipi di cancro.
  • Abbiamo chiesto al dottor Mario Cavallazzi, Responsabile farmacia del Gruppo ospedaliero San Donato, alcuni approfondimenti su effetti e rischi derivati dall’utilizzo del cortisone.

Ecco cosa ci ha risposto. Che cos’è il cortisone? Il cortisone è un ormone secreto dalle ghiandole surrenali appartenente alla famiglia dei glucocorticoidi, caratterizzato da una spiccata attività anti-infiammatoria, Esso è un farmaco sintomatico e pertanto non agisce alterando il meccanismo scaturente la patologia, ma allevia semplicemente il dolore causato dallo stimolo infiammatorio.

Di conseguenza, una volta sospeso il trattamento, i sintomi si potrebbero ripresentare. In aggiunta all’attività anti-infiammatoria, il cortisone presenta la capacità di modulare, inibendo, il sistema immunitario e per questo motivo trova largo impiego nella prevenzione del rigetto dei trapianti e nel trattamento delle patologie auto-immuni.

In quali casi può essere prescritto? I cortisonici sono prescritti per via orale per trattare stati infiammatori che accompagnano patologie croniche sia di natura reumatologica, come l’artrite reumatoide e le connettiviti, sia di natura dermatologica come ad esempio la psoriasi,

  • Al contrario, per il trattamento e la prevenzione di allergie delle alte vie respiratorie e degli stati asmatici si prediligono corticosteroidi somministrati per via inalatoria, comunemente sotto forma di spray nasale, in modo da limitarne gli effetti collaterali.
  • La via endovenosa invece è il trattamento di prima scelta per la somministrazione di corticosteroidi negli stati di emergenza, come shock anafilattico, gravi reazioni allergiche e stati di ipersensibilità.

Quali possono essere gli effetti collaterali derivati dall’assunzione di cortisone? Gli effetti collaterali a cui si associa spesso l’assunzione di cortisone sono iperglicemia (effetto diabetogeno), osteoporosi e demineralizzazione ossea, perdita di massa muscolare per degradazione proteica, alterazione nella distribuzione del tessuto adiposo, aumento dell’appetito, ritenzione idrica e infine incremento della suscettibilità alle infezioni.

  1. In generale, tutti questi “drammatici” effetti collaterali sono associati ad un utilizzo cronico del farmaco e sono meno evidenti in seguito a somministrazione nel breve periodo.
  2. Ci sono molti pregiudizi sull’utilizzo del cortisone come anti-infiammatorio in sostituzione ai FANS (per esempio ibuprofene, diclofenac ed altri).

Infatti questi ultimi, che noi crediamo essere più sicuri, non sono privi di effetti collaterali dal momento che il loro abuso può determinare danni irreversibili al nostro organismo, quali ulcere gastriche sanguinanti. È consigliabile seguire particolari accorgimenti durante una terapia cortisonica? Nel momento in cui si intraprende una terapia cortisonica si deve evitare di assumere elevate quantità di sale per limitare i danni causati dalla ritenzione idrica, uno degli effetti collaterali associati a questo farmaco.

  1. In particolare, le persone affette da ulcera peptica, infezioni in corso, cardiopatia o ipertensione devono utilizzare con estrema cautela i cortisonici,
  2. Infine, è bene sottolineare che la terapia cortisonica non deve mai essere interrotta bruscamente, soprattutto se è stata seguita per lunghi periodi di tempo.

Infatti l’assunzione di questo farmaco inibisce, mediante feedback negativo, la produzione fisiologica di cortisone e, per questo motivo, il dosaggio va piano piano scalato per dare modo all’organismo di ripristinare il corretto funzionamento delle ghiandole surrenali.

Perché il cortisone non si può prendere la sera?

credits: iStock – Assunto dopo il risveglio, nelle prime ore del mattino, il cortisone funziona meglio e induce meno effetti collaterali. A rivelarlo è uno studio italiano, pubblicato sulla rivista Lancet Diabetes and Endocrinology, che ha preso in considerazione uno dei farmaci più impiegati nella lotta all’infiammazione e, di conseguenza, in patologie come l’ artrite reumatoide, le sindromi autoimmuni, i tumori del midollo osseo e le malattie allergiche o respiratorie, come l’asma.

«Al momento della scoperta, il cortisone apparve un farmaco miracoloso e inizialmente venne prescritto ad alte dosi con estrema disinvoltura», ricorda il professor Andrea Lenzi, responsabile della Uoc Endocrinologia, malattie del metabolismo, andrologia del Policlinico Umberto I di Roma, presidente della Società italiana di endocrinologia e fra gli autori dello studio.

«Purtroppo, nel tempo, emersero i numerosi effetti collaterali: subito si pensò a un problema di dosaggio, fino a quando si iniziò a ragionare anche sul momento della giornata in cui veniva somministrato». Qual è il nesso? Semplice. I livelli di cortisolo (cioè l’ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, di cui il cortisone imita gli effetti) non sono uniformi nell’arco delle 24 ore, ma presentano un picco al risveglio che si riduce nel pomeriggio, fino ad arrivare a livelli minimi nelle ore notturne.

  1. « Quasi tutte le cellule del corpo dispongono di un orologio interno, utile per allinearsi tra loro e funzionare in maniera ritmica.
  2. Il cortisolo agisce come un direttore d’orchestra, “resettando” i vari orologi con il suo picco mattutino e fornendo un orario unico, in modo da sincronizzare tutte le componenti dell’organismo», spiega Lenzi.

«Se le terapie cortisoniche non seguono questi meccanismi e vengono assunte la sera, il sistema immunitario può andare in tilt, smettendo di funzionare o comunque funzionando male contro gli ospiti indesiderati, come virus o batteri». Bisogna rispettare i ritmi naturali L’interessante ricerca, condotta dall’Università La Sapienza di Roma in collaborazione con l’ateneo Federico II di Napoli, conferma il valore della crono-farmacologia, una branca della medicina che studia il momento giusto in cui somministrare le terapie in modo da renderle più efficaci e meno tossiche.

«La maggior parte dei processi fisiologici, come la secrezione ormonale o le variazioni della temperatura corporea, seguono un ritmo circadiano, cioè si ripetono regolarmente all’incirca ogni 24 ore, variando tra momenti di picco e altri di calo », semplifica il dottor Benedetto Grimaldi, ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia, esperto di crono-farmacologia molecolare.

«Dovendo agire su questi processi, i farmaci hanno maggiore efficacia se vengono assunti durante i picchi di attività, quando la reazione dell’organismo è massima. In fondo, abbiamo detto, il corpo funziona come un’orchestra e c’è una bella differenza se un medicinale entra in scena quando a “suonare” è un organo oppure un altro».

Guardare l’orologio, ad esempio, può essere utile con gli antidepressivi, in particolare per gli inibitori della ricaptazione della serotonina-norepinefrina, talvolta utilizzati anche per trattare i disturbi d’ansia, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd), il dolore neuropatico cronico e per i sintomi della menopausa.

Questa classe di psicofarmaci va ad agire sulle proteine deputate a trasportare alcuni ormoni, come serotonina e noradrenalina, che – oltre a presentare forti variazioni circadiane nei loro livelli – servono anche a far funzionare meglio le lancette dell’orologio biologico: non è un caso, quindi, che numerose patologie associate a uno squilibrio dei livelli di serotonina (come molte depressioni) si accompagnino a disturbi del sonno e dell’appetito,

«In base al disturbo dell’umore e alla tipologia di farmaco utilizzato, lo specialista può consigliare la fascia di assunzione più opportuna e talvolta un differente dosaggio. Nei soggetti bipolari, ad esempio, le alterazioni del ritmo circadiano possono contribuire a un peggioramento dei sintomi: ecco perché in vista di un viaggio intercontinentale, che provoca il famoso jet-lag e quindi uno sfasamento del ritmo sonno-veglia, le dosi dei medicinali vengono spesso aumentate in forma preventiva», spiega il dottor Grimaldi.

Intervenire quando c’è più bisogno Anche il controllo della pressione sanguigna deve tenere conto della corretta finestra temporale, valutando la patologia che sta alla base del problema. Se nel caso del diabete la pressione si alza soprattutto la sera e la terapia dovrà agire solo su questo specifico momento della giornata, nell’ipertensione bisognerà coprire tutte le 24 ore.

Stessa attenzione è richiesta nell’artrite reumatoide, dove le molecole infiammatorie responsabili del dolore e del successivo danno ad ossa e cartilagini vengono rilasciate nel sangue soprattutto nelle prime ore del mattino, per cui le terapie specifiche vanno assunte in quella fascia oraria. «In tutto questo, la crono-farmacologia tiene conto anche del metabolismo dei vari medicinali, ovvero del tempo necessario all’organismo per distruggerli e farli entrare in circolo nel sangue», tiene a specificare Grimaldi.

«Ci sono formulazioni a rilascio modificato, che possono essere assunte in anticipo di qualche ora ma esplicano la loro azione solo al momento opportuno, così come esistono i cosiddetti profarmaci, ovvero sostanze che non hanno la possibilità di produrre effetti terapeutici se prima non subiscono alcuni processi all’interno dell’organismo.

  1. Nel secondo caso, è importante introdurli quando è maggiore il picco degli enzimi necessari per la loro conversione».
  2. Un po’ come avviene per il caffè, insomma: di norma, non lo beviamo prima di metterci a letto, ma nei momenti in cui occorre restare vigili e operativi; lo stesso deve avvenire per i farmaci, da non prendere a caso, ma quando ve ne sia reale necessità.

Agire quando gli effetti nocivi sono minimi «Al momento, la maggior parte delle informazioni a nostra disposizione proviene dalla ricerca pre-clinica, la fase 0 della sperimentazione farmacologica, dove i principi attivi vengono testati in vitro o in vivo su modelli sperimentali, come colture cellulari, animali di laboratorio o sistemi artificiali che riproducono determinate caratteristiche dell’organismo umano.

  • Ma si stanno intensificando anche gli studi clinici, quelli sull’uomo, per sviluppare versioni crono-attive dei farmaci : nel prossimo futuro, sarà normale sentire un medico prescriverci una terapia in un preciso momento della giornata e non più semplicemente a stomaco pieno oppure vuoto».
  • Buttare giù una pillola al momento giusto può essere utile anche per ridurre gli eventi avversi,

L’ acido acetilsalicilico causa meno fastidio allo stomaco se viene assunto dopo cena anziché dopo la colazione, perché il tratto gastrointestinale ha una chimica e un’attività diversa la sera rispetto alla mattina. Per i cortisonici, invece, l’assunzione serale non soltanto rischia di mandare in tilt il sistema immunitario, ma è anche causa di insonnia ,

  1. «Uno dei campi che maggiormente sfrutta queste conoscenze è l’oncologia, che negli anni ha messo a punto chemioterapici capaci di agire in maniera mirata», racconta Grimaldi.
  2. Lo scorso anno, una ricerca condotta dall’University of North Carolina ha indagato il cisplatino, un chemioterapico utilizzato nella metà dei tumori solidi (come quello del polmone), piuttosto tossico per reni, fegato e sistema nervoso, incluso il cervello.

Dopo aver dimostrato come alcuni processi di riparazione del Dna raggiungano il loro picco massimo prima dell’alba oppure subito dopo il tramonto, i ricercatori sono giunti alla conclusione che somministrare il cisplatino in quei momenti possa ridurre notevolmente i danni.

  • «Ogni giorno, nell’organismo, miliardi di cellule si dividono per consentire la nostra crescita o per sostituire le cellule vecchie, morte o danneggiate.
  • Anche quelle tumorali lo fanno, ma seguono un orologio diverso rispetto alle sane: ecco perché le terapie vanno somministrate in un preciso momento della giornata, quando sono altamente dannose per le prime e meno per le seconde.
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Questo consente di massimizzare l’efficacia e la tollerabilità dei farmaci, con benefici per i pazienti ma anche in termini di costi sanitari», conclude Grimaldi. Al mattino o alla sera? Ecco gli orari in cui assumere gli integratori più utili per la salute.

Unghie e capelli

↘ Al mattino vanno assunte le sostanze che prevengono la caduta dei capelli e la rottura delle unghie (vitamina B6, vitamina C, vitamina E, selenio, acido ialuronico). ↘ La sera possiamo restituire luminosità ai capelli spenti (vitamina B1, vitamina B2, vitamina B12, zinco, L-Cisteina).

Intestino

↘ Al mattino è ottimale il consumo di probiotici (come Lactobacillus Acidophilus, Lactobacillus Rhamnosus, Bifidobacteriuim Bifidum). ↘ La sera, servono prebiotici (inulina, frutto-oligosaccaridi a catena corta) per favorire lo sviluppo dei batteri buoni.

Menopausa

↘ Al mattino le sostanze da assumere aiutano a eliminare i liquidi (isoflavoni, lignani, estrogeni, testosterone), ↘ La sera invece hanno un effetto calmante e sedativo per i dolori intestinali e addominali (magnesio, trifoglio rosso, valeriana, melatonina, progesterone).

Cuore

↘ Al mattino occorrono sostanze attivanti (acido alfa-lipoico, calcio, coenzima Q-10, licopene, vitamina B6). ↘ Di notte cuore e vasi sanguigni avviano i loro processi riparativi: servono sostanze rigeneranti (acido folico, magnesio, niacina, vitamine B1, B2, B5, B12).

  • Il sonno potenzia i farmaci Anche riposare bene è importante per garantire la massima efficacia dei farmaci,
  • Il corretto funzionamento del ritmo sonno-veglia dipende da una speciale zona del cervello, chiamata nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo, formata da circa 15-20 mila neuroni in grado di agire come un pacemaker, ovvero di dettare il ritmo alle cellule di tutto l’organismo.

Il suo ritmo può risentire dell’influenza di elementi esterni, come l’alternanza luce-buio : lo stimolo luminoso raggiunge la retina, viene convogliato all’ipotalamo e qui incoraggia oppure inibisce la produzione di melatonina, il noto ormone del sonno, fissando di conseguenza i confini temporali della veglia e del riposo nell’arco delle 24 ore.

Uno sguardo al futuro «La crono-farmacologia consentirà di sviluppare terapie sempre più mirate, in grado di “aggiustare” l’orologio difettoso che sta alla base dello sviluppo di una certa patologia», spiega il dottor Grimaldi. « Per alcune forme di cancro, come quello a mammella, prostata, fegato, pancreas e pelle, si andrà ad interferire con i ritmi circadiani, informando le cellule malate che è “ora di morire”.

Ma la ricerca si concentrerà anche su altre pato-logie, come quelle cardio-vascolari e psichiatriche, che spesso si accompagnano a difetti importanti del nostro orologio interno». Fai la tua domanda ai nostri esperti Articolo pubblicato nel n° 11 di Starbene in edicola dal 26 febbraio 2019

Quando è meglio prendere il cortisone mattina o sera?

CORTISONE: NON VA ASSUNTO DI SERA La ricerca pubblicata da The Lancet Diabetes & Endocrinology dimostra come assumere il cortisone di mattina migliori la terapia e diminuisca gli effetti collaterali.

Qual è la differenza tra il Bentelan e il Deltacortene?

Bentelan – Deltacortene equivalenza

Bentelan Deltacortene
Durata d’azione Lunga (36-72 ore) Media (12-36)
Dose equivalente (mg) 1.2 10
Attività antinfiammatoria (relativa all’idrocortisone) 30 4

Quale cortisone per il mal di gola?

Corticosteroidi come il Cortisone (es. Cortis, Cortone acetato ) o il prednisone (es. Deltacortene, Lodotra) sono indicati per la cura della faringite derivata da mononucleosi: in simili frangenti, il mal di gola tende a degenerare, pertanto i linfonodi si ingrossano.

Qual è il farmaco antinfiammatorio più potente?

Qual il miglior antinfiammatorio per trattare i pazienti con dolore da osteoartrosi? E’ questa la domanda che si sono posti un gruppo di ricercatori svizzeri dell’Universit di Berna che hanno effettuato una meta-analisi di rete, pubblicata sulla prestigiosa rivista Lancet, per giungere a una risposta.

  1. Ci che hanno trovato, dopo attenta analisi di dati su numerosi FANS, che l’antinfiammatorio pi efficace attualmente disponibile il diclofenac, non solo in termini di miglioramento del dolore ma anche della funzione.
  2. Anche Etoricoxib si mostrato efficace ma disponibile sul mercato in pochi Paesi; mentre il paracetamolo, farmaco spesso utilizzato anche per questo tipo di dolore, non avrebbe alcun effetto benefico.

– Qual è il miglior antinfiammatorio per trattare i pazienti con dolore da osteoartrosi? E’ questa la domanda che si sono posti un gruppo di ricercatori svizzeri dell’Università di Berna che hanno effettuato una meta-analisi di rete, pubblicata sulla prestigiosa rivista Lancet, per giungere a una risposta.

Ciò che hanno trovato, dopo attenta analisi di dati su numerosi FANS, è che l’antinfiammatorio più efficace attualmente disponibile è il diclofenac, non solo in termini di miglioramento del dolore ma anche della funzione. Anche etoricoxib si è mostrato efficace ma è disponibile sul mercato in pochi Paesi; mentre il paracetamolo, farmaco spesso utilizzato anche per questo tipo di dolore, non avrebbe alcun effetto benefico.

L’osteoartrosi è la forma più comune di malattia articolare e tra le principali cause di dolore nelle persone anziane. A loro volta, i sintomi ad essa associati comportano un aumento della disabilità fisica e nei movimenti fino all’aumento della mortalità per tutte le cause.

La gestione di questo dolore si basa su un approccio farmacologico sequenziale in cui i farmaci anti-infiammatori non-steroidei (FANS) sono la principale forma di trattamento. Negli Stati Uniti d’America, circa il 65% dei pazienti con osteoartrosi utilizza FANS sotto prescrizione. La domanda nasce dunque spontanea, quale FANS utilizzare vista la diversità che abbiamo a disposizione? L’obiettivo di questo studio è stato proprio quello di valutare l’efficacia di diverse preparazioni e dosaggi di FANS sul dolore da osteoartrosi attraverso una meta-analisi di rete.

Lo studio ha incluso studi randomizzati e controllati su FANS, paracetamolo o placebo, per il trattamento del dolore da osteoartrosi del ginocchio e dell’anca. I ricercatori hanno estratto questi dati dal Registro Centrale Cochrane Controlled Trials (CENTRAL) da studi rilevanti pubblicati tra il 1 gennaio 1980 e il 24 febbraio 2015, con almeno 100 pazienti per gruppo e dalle banche dati di Embase e Medline dal 2009 al 2015.

Gli esiti primari e secondari prespecificati erano il dolore e la funzione fisica, e sono stati estratti in duplicato per un massimo di sette punti temporali dopo l’inizio del trattamento: 1 settimana (±2 giorni), 2 settimane (±2 giorni), 4 settimane (±1 settimana), 6 settimane (±1 settimana), 3 mesi (±1 mese), 6 mesi (±1 mese), 12 mesi (±1 mese), e alla fine del trattamento (1, 2 settimane e fine del trattamento anche per l’outcome secondario).

E’ stata utilizzata un’estensione dell’analisi bayesiana multivariabile a effetti casuali per confronti su trattamenti multipli misti. Preparati che hanno usato diverse dosi giornaliere totali sono stati considerati separatamente nell’analisi. Sono stati inclusi 74 studi randomizzati per un totale di 58.556 pazienti.

  • I risultati dell’analisi hanno mostrato che il celecoxib 200 mg/al giorno era il farmaco più studiato nei trial analizzati (39 studi).
  • L’età media dei pazienti tra i vari trial andava dai 58 ai 71 anni, con una percentuale abbastanza variabile di donne tra il 49% e il 90% e con follow up medio di 12 settimane.

Dopo il celecoxib, il farmaco più studiato è stato il naprossene 1000 mg/al giorno con 8195 pazienti arruolati tra i vari studi; gli studi con meno pazienti arruolati sono stati su diclofenac 70 mg /al giorno con 104 pazienti ed etoricoxib 90 mg/al giorno con 112 pazienti.

Nessuno studio considerato aveva elevato rischio di bias.In generale, tutte le preparazioni analizzate negli studi hanno migliorato i sintomi e il dolore rispetto al placebo. Per sei interventi (diclofenac 150 mg, etoricoxib 30 mg, 60 mg, e 90 mg, e rofecoxib 25 mg e 50 mg –quantità giornaliere per tutti), c’erano dati statistici sufficienti per supportare un significativo anche se minimo effetto clinico rispetto al placebo nella riduzione del dolore (la probabilità che la differenza rispetto al placebo è pari o inferiore al valore pre soglia specificata di 0,37 era almeno del 95%).

E’ stata osservata una risposta significativa lineare dose effetto con celecoxib (p=0,030), diclofenac (p=0,031) e naprossene (p=0,026). I quattro migliori farmaci contro questo dolore identificati dall’analisi sono etoricoxib 90 mg/al giorno, rofecoxib 50 mg/ al giorno, diclofenac 150 mg/al giorno ed etoricoxib 60 mg/al giorno.

  1. Tra questi interventi, solo diclofenac ed etoricoxib (60 mg/al giorno) hanno avuto un 100% di probabilità di raggiungere la minima differenza clinicamente importante e in parole povere la migliore risposta.
  2. Anche per quanto riguarda eventuali miglioramenti dell’effetto analgesico con l’aumento della dose, si è verificato in maniera significativa solo con celecoxib (p=0,030), diclofenac (p=0,031) e naproxene (p=0,026).

Non è stata trovata alcuna evidenza del fatto che gli effetti del trattamento possano variare in base alla durata del trattamento. Le stime degli effetti non sono cambiate in analisi di sensitività con due modelli statistici aggiuntivi e che rappresentano criteri di qualità metodologica in analisi di meta-regressione.

  • In conclusione, interpretando i dati numerici derivanti da questa metanalisi di rete, i ricercatori hanno sottolineato che il paracetamolo sembra non avere alcun ruolo come agente singolo nel trattamento dei pazienti con osteoartrosi, indipendentemente dalla dose.
  • Ci sono, invece, prove evidenti che il diclofenac alla dose di 150 mg/al giorno è il FANS più efficace attualmente disponibile, in termini di miglioramento sia del dolore che della funzione.

Si è mostrato efficace nell’analisi anche etoricoxib ma tale farmaco è autorizzato per il mercato in pochi Paesi. Il consiglio finale degli autori è che in considerazione del profilo di sicurezza di questi farmaci, i medici, quando selezionano il farmaco e la dose per i singoli pazienti, prendano in considerazione questi risultati insieme a tutte le informazioni di sicurezza note che per alcuni FANS riguardano eventuali problemi al sistema cardiocircolatorio e per altri complicanze gastrointestinali.

Qual è il più potente cortisone naturale?

Cardiospermum Halicacabum. – Vanda Integrative Medicine Deltacortene A Cosa Serve Il è un cortisone naturale: una pianta medicinale che ha un effetto simile al cortisone, ma senza le controindicazioni del farmaco. Il Cardiospermum halicacabum appartiene alla famiglia delle Saponifere, così dette perché contenenti saponine che generano schiuma con l’acqua, per questo motivo vengono utilizzate nei paesi originari come noci o bacche di sapone per lavare.

  1. Gli effetti cortisone-like di questa pianta furono scoperti in Africa centrale negli anni Dopo averne scoperto gli effetti e le modalità di impiego, furono eseguiti 140 studi medici in diversi paesi: Germania, Austria, Belgio, Spagna, e Olanda.
  2. Ha fiori piccoli e bianchi e la droga, cioè la parte utilizzata a scopo medicinale, è costituita dalle parti aeree fresche della pianta in fiore.

Il nome specifico del genere “cardiospermum” deriva dall’aspetto dei semi grandi come un grano di pepe, di colore marrone scuro, con cuore bianco facilmente riconoscibile, e la denominazione halicacabum proviene dal greco e significa “barile di sale”.

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un’azione antinfiammatoria, idratante, seboregolatrice, antipruriginosa, ma soprattutto sono in grado di stabilizzare le membrane cellulari di pelli e mucose che, in caso di dermatiti, risultano essere meno reattive.

In questo modo non viene compromessa la sintesi dell’epidermide e si evitano situazioni di secchezza o assottigliamento della cute frequenti nelle terapia cortisoniche. Il vantaggio fondamentale di questo “cortisone naturale” è la sua elevata sicurezza e tollerabilità, anche se usato per un tempo prolungato.

Gli estratti della pianta sono utilizzati per uso topico su pazienti affetti da psoriasi, neurodermatiti, dermatite allergica, dermatite seborroica in acuto, in malattie croniche o cronico-recidivanti. La pianta è utile anche per lenire la pelle arrossata, nelle desquamazioni cutanea, nelle punture di insetto e per curare l’.

In sintesi, come confermato da studi clinici, l’applicazione topica di garantisce gli effetti dei farmaci cortisonici: una buona attività antiflogistica ma senza gli effetti collaterali del cortisone

Perché il cortisone fa bene?

Il cortisone è un farmaco dalle proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive che ha rivoluzionato la medicina e per molti pazienti rappresenta un vero e proprio salva-vita. La sua azione riduce o previene la risposta infiammatoria e modifica la risposta dell’organismo ad alcuni stimoli immunitari.

Perché il cortisone fa fare tanta pipì?

Il Blog di Aggiornamento Scientifico di MyLav – Ovviamente stiamo parlando dell’effetto che una terapia cortisonica (o eventualmente un iperadrenocorticismo spontaneo) può determinare sui risultati degli esami di laboratorio. Con questo post elenchiamo sinteticamente quali possono essere le alterazioni attese nei vari esami che comunemente eseguiamo nella clinica del cane e del gatto Dobbiamo innanzitutto sottolineare che le alterazioni che andremo a descrivere, potranno essere più o meno marcate in base a tipologia di cortisonico usato, alla sua potenza e alla durata della terapia. Emocromocitometrico: una terapia anche breve può fortemente alterare il leucogramma, inducendo il cosiddetto “leucogramma da stress”: questo si caratterizza da leucocitosi con neutrofilia matura, monocitosi e concomitante possibile linfopenia ed eosinopenia, Questi cambiamenti sono più marcati nel cane rispetto al gatto. Inoltre in alcuni pazienti canini, la leucocitosi può essere anche marcata, superando i 30.000 WBC/µL. Altra alterazione comune è un modesto aumento della concentrazione piastrinica (piastrinosi) e talora anche del valore ematocrito (eritrocitosi). Elettroforesi sierica: sono due le alterazioni principali che possiamo aspettarci. Innanzitutto, un aumento della frazione di alfa2-globuline, per una aumentata sintesi di aptoglobina. In secondo luogo, inducendo spesso iperlipemia, è possibile che diventi particolarmente marcata la frazione di alfa1-globuline contenenti per l’appunto le principali frazioni lipoproteiche del plasma. In casi rari, in cui la terapia cortisonica sia molto prolungata, si può assistere ad una significativa riduzione delle immuno-globuline e quindi della frazione gamma. Biochimica clinica: in questo ambito ci si possono aspettare numerose alterazioni. In primo luogo un’induzione enzimatica che coinvolge soprattutto la ALP, secondariamente anche GGT, ALT e colinesterasi e solo marginalmente la AST. Come già riportato sopra, è comune lo sviluppo di iperlipemia e quindi di un aumento di trigliceridi e colesterolo, Inducendo iperlipemia, è possibile osservare anche un aumento delle lipasi (sia totale che DGGR). Nei casi di trattamento cronico, va tenuto in debito conto l’effetto di insulino-resistenza che ne deriva, responsabile di possibile sviluppo di diabete mellito con la classica iperglicemia ed aumento delle fruttosamine. Meno conosciuti e considerati sono gli effetti del cortisone su altri analiti: ad esempio possono aumentare le albumine (per una incrementata sintesi epatica), ma in alcuni casi possono viceversa ridursi (se il cortisonico provoca in quel paziente una seria proteinuria, vedi sotto). È’ stato recentemente descritto l’effetto degli ormoni corticosurrenalici sul metabolismo del calcio/fosforo nel cane: è comune infatti lo sviluppo di una condizione per certi versi analoga a quella dell’iperparatiroidismo, ma ancora non ben inquadrata da un punto di vista fisiopatologico. Ne deriva aumento della calciuria e di conseguenza, una possibile ipocalcemia ionica, mentre il fosforo in questi casi tende ad essere lievemente elevato. Un altro aspetto importante da ricordare è quello relativo alle proteine di fase acuta del cane: la CRP tende ad abbassarsi o a non aumentare in caso di flogosi (spesso infatti risulta indosabile nei cani che assumo cortisonici o che sono affetti da sindrome di Cushing), mentre l’ aptoglobina tende ad aumentare, Esame delle urine: il principale effetto dei cortisonici è un antagonismo nei confronti dell’ormone antidiuretico (diabete insipido nefrogenico secondario), con conseguente ridotta capacità di concentrazione dell’urina nei dotti collettori. I cani (ed in misura molto minore i gatti) sviluppano quindi rapidamente poliuria e quindi polidipsia. Le urine sono poco concentrate, spesso isostenuriche (ovvero con un PS di 1.008-1.015) o addirittura ipostenuriche (PS urinario < 1.008). Questa condizione anche grazie all'effetto di immunosoppressione, in alcuni animali tende anche a favorire l'insorgenza di infezioni del tratto urinario. Infine, bisogna ricordare l'aumentata permeabilità del glomerulo alle proteine plasmatiche indotta dai cortisonici: una aumento del PU/CU è estremamente frequente anche se di solito di entità moderata e soprattutto è solitamente rapidamente reversibile una volta sospesa la condizione di ipercortisolismo. Questo aspetto è molto interessante perché nell'iter diagnostico di un cane con proteinuria dobbiamo considerare anche un ipercortisolismo spontaneo o iatrogeno. Figura 1. Esame istologico di cane in trattamento cortisonico (colorazione PAS). Si rilevano alterazioni mesangiali riconducibili al trattamento, responsabili di una aumentata permeabilità alle proteine plasmatiche. Per gentile concessione del Prof. Luca Aresu, Università di Torino. Citologia: un trattamento cortisonico (anche uno solo!) può avere effetti profondi su alcune popolazioni cellulari che possono scomparire rapidamente dai tessuti per effetto di una vera a propria necrosi. E' ben conosciuto l'effetto che può avere una terapia cortisonica in un paziente con linfoma: spesso la diagnosi citologica diventa impossibile per diversi giorni (vedi anche nostro precedente Blog a riguardo: https://www.mylavblog.net/generica/260-260.html),

Quello che è ancor più sorprendente e inaspettato è l’effetto che si può osservare in corso di leucemia acute, anche mieloidi: in pochissimi giorni il quadro ematologico e midollare può risultare completamente sovvertito tanto da rendere impossibile una diagnosi, salvo ripresentarsi rapidamente dopo pochi giorni/settimane dalla cessazione dell’effetto farmacologico.

Un pregresso trattamento con corticosteroidi può rendere complessa anche l’interpretazione della citologia articolare in corso di poliartrite immunomediata, o di quella del liquido cefalo-rachiadiano in pazienti con malattie infiammatorie. Infine va considerato l’effetto dei cortisonici sulla morfologia degli epatociti in caso di aspirato epatico: tipico è lo sviluppo di una rarefazione citoplasmatica da ricondursi ad un accumulo di glicogeno intra-cellulare. Tipizzazioni fenotipiche/citofluorimetria: anche in questo caso, è bene evitare qualsiasi trattamento cortisonico prima di fenotipizzazioni (es. mediante citofluorimetria o immuno-citochimica) per le neoplasie ematopoietiche. Le marcature possono infatti subire profonde alterazioni tanto da fuorviare completamente la diagnosi.

Dosaggi ormonali: è ovvio l’effetto che possa avere un trattamento cortisonico in caso di misurazione del cortisolo, Qualsiasi cortisonico usato per le terapie ( ad eccezione del desametasone ), viene rilevato dalle tecniche di chemiluminescenza che usiamo in laboratorio. Ne risulteranno valori di “cortisolemia” sovra-stimati.

Nel caso in cui abbiamo invece provveduto a sospendere il trattamento prima del prelievo, bisogna invece considerare l’effetto di una terapia prolungata sulla corticale del surrene, che risulterà ovviamente atrofica/ipotrofica. In questo caso avremo quindi l’effetto opposto, ovvero una condizione di ipocortisolemia che si risolverà solo con il passare del tempo e con il ristabilirsi della normale funzionalità cortico-surrenalica.

  • Nel caso del dosaggio degli ormoni tiroidei, bisogna considerare che i cortisonici tendono a deprimere l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide, determinando una riduzione del TSH e del T4 (con un quadro analogo a quello della c.d.
  • Euthyroid sick sindrome).
  • Questi sono solo gli effetti più importanti e ben descritti che possono impattare notevolmente la nostra interpretazione, soprattutto se non siamo a conoscenza del trattamento subito dall’animale che stiamo valutando.

Ugo Bonfanti, Med. Vet. EBVS European Specialist in Veterinary Clinical Pathology (Dipl. ECVCP); Direttore Sanitario di MYLAV. Prof. Francesco Dondi, Med. Vet.PhD; Università di Bologna. Walter Bertazzolo, Med. Vet. EBVS European Specialist in Veterinary Clinical Pathology (Dipl.

Quante pasticche di Deltacortene si possono prendere al giorno?

DELTACORTENE 10CPR 25MG -Posologia La dose terapeutica d’attacco, nell’adulto di peso medio, corrisponde a mg 20-30 al giorno. Questa dose iniziale può essere ridotta entro una settimana ad una dose di mantenimento mediamente di 10-15 mg al giorno. Possono essere richiesti anche dosaggi minori in rapporto al peso corporeo ed all’età del paziente.

La posologia di mantenimento deve essere sempre la minima capace di controllare la sintomatologia; una riduzione posologica va fatta sempre gradualmente. È IMPORTANTE SOTTOLINEARE CHE IL FABBISOGNO CORTICOSTEROIDEO È VARIABILE E QUINDI LA POSOLOGIA VA INDIVIDUALIZZATA TENENDO CONTO DELLA MALATTIA E DELLA RISPOSTA TERAPEUTICA DEL PAZIENTE.

: DELTACORTENE 10CPR 25MG -Posologia

Qual è il cortisone più forte?

Desametasone/Betametasone – Il Desametasone invece come visto, ha attività mineralcorticoide quasi irrilevante, cosi come il Betametasone, ma è molto più potente rispetto agli altri farmaci steroidei ed ha durata d’azione decisamente più lunga rispetto a prednisone e prednisolone.

  • D’altra parte, poiché l’aumento della potenza antinfiammatoria si accompagna ad un aumento della tossicità, l’ indice terapeutico ***** di desametasone e betametasone non è migliore di quello, per esempio del Prednisolone,
  • Vista la loro alta attività antinfiammatora sono più soggetti ad effetti avversi in particolare se il trattamento è protratto per lungo tempo.

Per questi motivi andrebbero utilizzati solo per brevi periodi e in condizioni acute/severe, *****INDICE TERAPEUTICO = DL50(dose letale)/DE50(dose efficace). Semplificando all’estremo il concetto più l’indice terapeutico è basso, più il farmaco è pericoloso, più l’indice terapeutico è alto più il farmaco è sicuro.

Qual è la differenza tra il Bentelan e il Deltacortene?

Bentelan – Deltacortene equivalenza

Bentelan Deltacortene
Durata d’azione Lunga (36-72 ore) Media (12-36)
Dose equivalente (mg) 1.2 10
Attività antinfiammatoria (relativa all’idrocortisone) 30 4

Perché il cortisone fa bene?

Il cortisone è un farmaco dalle proprietà antinfiammatorie e immunosoppressive che ha rivoluzionato la medicina e per molti pazienti rappresenta un vero e proprio salva-vita. La sua azione riduce o previene la risposta infiammatoria e modifica la risposta dell’organismo ad alcuni stimoli immunitari.

Quale cortisone per il mal di gola?

Corticosteroidi come il Cortisone (es. Cortis, Cortone acetato ) o il prednisone (es. Deltacortene, Lodotra) sono indicati per la cura della faringite derivata da mononucleosi: in simili frangenti, il mal di gola tende a degenerare, pertanto i linfonodi si ingrossano.

Che differenza c’è tra Deltacortene e prednisone?

Deltacortene è il nome commerciale di un farmaco a base di prednisone, un medicinale di sintesi che appartiene ai cortisonici, ormoni in grado di esercitare una spiccata azione antinfiammatoria.

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